“I’m interested in educating them through such an experience that allows them to understand what it means becoming orchestra professors. That is a job requiring awareness, training, morality and culture without routine.” According to Muti, in an orchestra “you need to bear in mind each level of its members: social, artistic, and cultural. Music is based on counterpoint, and it is necessary to learn – working together in harmony – that antithesis has to find a solution in synthesis. As it is for society”.
Il Maestro: li plasmo per far capire loro il senso delle note
Riccardo Muti: i conservatori sfornano folle di strumentisti ma senza garanzie
Osservatorio del domani, interrogativo lanciato nel futuro, valore condiviso da proteggere: tutto ciò sono “i giovani”, connessi da una rete rituale di comunicazione che risulta spesso misteriosa per i loro padri, come il grande Riccardo Muti. Il quale, tuttavia, si dichiara clamorosamente ottimista riguardo alle nuove generazioni, con cui si confronta grazie al suo intenso e pluriennale lavoro di formazione delle nuove leve musicali. «Si potrebbe pensare che i giovani siano peggiorati a causa della mancanza di contatti umani diretti», riflette il direttore d`orchestra italiano più famoso del pianeta. «Mi hanno riferito per esempio che nelle scuole, durante la ricreazione, cala un silenzio assoluto perché ciascuno s`immerge isolatamente nel proprio cellulare. Dal ricreatorio si è passati al dormitorio!». Eppure, «al di là di ogni possibile analisi dei motivi per cui questo accade», il maestro applaude le forze giovani alle quali attinge per la sua Orchestra Cherubini: «L`organico si rinnova ogni tre anni, e quando scelgo gli elementi vedo che nel tempo la qualità artistica e umana tende a salire sempre di più».
Insomma Muti, dall`alto della sua ricca esperienza, è fiducioso nel ricambio generazionale ed entusiasta della preparazione di coloro che accoglie – dopo selezioni operate da una commissione internazionale – nella compagine giovanile che ha creato nel 2004: «Ho voluto darle il nome di uno dei miei compositori preferiti, Cherubini appunto, cui ho dedicato molte delle mie energie e che è purtroppo poco eseguito in Italia». L`impresa della Cherubini si basa sull`idea di un ensemble «in grado di formare professionalmente i migliori diplomati usciti dai Conservatori, stabilendo un ponte tra studio e lavoro», racconta Muti dagli Stati Uniti, dove ha appena eseguito con successo, alla testa della Chicago Symphony (di cui è Music Director), le quattro Sinfonie di Brahms una dopo l`altra. «M`interessa plasmarli tramite un`esperienza che faccia capire loro il senso del diventare professori d`orchestra, mestiere che esige consapevolezza, allenamento, moralità e cultura priva di routine». Secondo Muti in un`orchestra «bisogna tenere conto di ogni livello dei suoi membri: sociale, artistico e culturale. La musica si basa sul contrappunto, ed è necessario imparare, collaborando armonicamente, che l`antitesi va risolta nella sintesi. Come nella società». Sul podio della Cherubini, Muti dirigerà quest`anno ( 16 luglio) il concerto finale del Festival di Spoleto, con la Settima di Beethoven e intermezzi di Mascagni, Leoncavallo, Puccini e Catalani. In settembre, dopo Aida a Salisburgo, tornerà a occuparsi di gioventù nell`edizione 2017 della sua Italian Opera Academy, progetto volto all`insegnamento del repertorio operistico italiano a giovani direttori d`orchestra.
Nel frattempo si lamenta dell`enorme carenza di lavoro per i musicisti in Italia, «dove i Conservatori sfornano folle di strumentisti senza che ci sia la minima politica statale sul loro futuro impiego. Se invece la musica fosse inserita nelle scuole come materia obbligatoria, tanti diplomati troverebbero uno sbocco nell`attività didattica portando tutti i bambini e i ragazzi a muoversi coscientemente nella magica foresta dei suoni». Oltre che dagli allievi, il cuore giovane del nonno Muti è nutrito dai suoi nipoti, che riabbraccia tra un viaggio e l`altro: «Riccardo, nove anni, è figlio di mio figlio Francesco. Ha una sorella, Sofia, di cinque anni. Poi ci sono Gilda, sei anni, figlia di mia figlia Chiara, e Gregorio, il biondino di cui è padre il mio terzo figlio Domenico. Riccardo dimostra una straordinaria abilità nel costruire strutture con i Lego. E ha un bell`istinto musicale: gli piace ascoltare Wagner e Bruckner. Tutti disegnano bene e il negato sono io, che traccio solo la casetta con quattro righe e il tetto col camino da cui esce il fumo». Narra Muti che una vena di piccola follia scorreva nella sua famiglia d`origine, col padre medico pieno di parenti filosofi e una mamma napoletana oberata da cinque figli che chiedeva al marito d`alleviare le sue fatiche intrattenendo almeno il piccolo Riccardo (“Fa` pazzià `nu poco `a creatura”). «Allora mio papà», rammenta Muti, «recitava per me l`episodio di Paolo e Francesca incluso nel quinto canto dell`Inferno dantesco. Amor ch`a nullo amato amar perdona fu la mia prima filastrocca: diciamo che sono cresciuto in modo quanto meno estroso».
Leonetta Bentivoglio, La Repubblica, 27 maggio 2017