Il Maestro trascina orchestra e cantanti e difende il libretto originale dell’opera
di Piera Anna Franini | 23 febbraio 2024
In una serata come quella di mercoledì al Regio di Torino, avverti l’energia dei grandi eventi. Sul podio c’è Riccardo Muti impegnato nell’unica opera in forma scenica che dirige nel 2024 in Italia, Un Ballo in maschera di Verdi, per la regia di Andrea De Rosa.
Stanco di bisticciare con gli ego ipertrofici di troppi registi, da tempo Muti fa opere in forma di concerto, eccezion fatta per il Regio di Torino, «teatro di grande eccellenza, con un’ottima orchestra, coro, e un reparto tecnico di primissimo ordine. Ogni volta mi dà grandi soddisfazioni», dice. Ha promesso che vi tornerà per Macbeth.
Pe questo Ballo c’è la stampa e il pubblico internazionali, con punte in Vienna e Salisburgo dove Muti firma il Tour de France e Super Bowl del settore dirigendo la Nona di Beethoven per i due secoli dalla prima esecuzione e il prossimo concerto di Capodanno.
Muti appare, ed è boato. Alla fine è commosso, ma inguaribilmente battagliero. I fanatici della cancel culture vorrebbero eliminare espressioni come «dell’immondo sangue dei negri»? «Sbagliato», la replica. «Allora dovremmo cancellare i libretti di Da Ponte, certe parole allusive del Rigoletto, e pure l’intero Ballo in maschera considerato che il protagonista esercita il suo potere sulla moglie del migliore amico. Andrebbe bandito il De Bello Gallico, certe certe affermazioni di Platone sulle donne. Dobbiamo invece conoscere gli accadimenti per insegnare ai giovani cosa è sbagliato e cosa va corretto. La cultura è l’arma dispensatrice di benefici più potente che vi sia, non è né di destra né di sinistra: è semplicemente cultura. Noi Europei dovremmo salvaguardala e non cancellarla».
L’orchestra di questo Ballo in maschera cambia pelle facendosi di volta in volta mozartiana a sostegno dell’Oscar bellissimo di Damiana Mizzi, trabocca di passione quando nel secondo atto esplode l’amore. Racconta, soffre con i personaggi, commenta. Luca Micheletti (Renato), purtroppo ha problemi di salute, peccato perché sarebbe la colonna del cast. Discontinuo anche il Riccardo di Piero Pretti. Chapeau per il coro. Quello di Muti (1941) è un nome potente; che lui usa per accendere i riflettori sull’Italia dimenticata o poco frequentata. Il 16 marzo, a Jesi, aprirà le celebrazioni per Gaspare Spontini. «L’opera è la nostra bandiera, croce e delizia perché ha occultato centinaia di musiche e autori sublimi». Muti si attiva. E le grandi istituzioni?
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