Vorrei dedicare i miei ultimi anni a insegnare musica
– di Piera Anna Franini | 30 luglio 2019
Incontriamo il direttore d’orchestra Riccardo Muti (Napoli, 28 luglio 1941) il giorno del suo 78esimo compleanno. Un brindisi con i suoi ragazzi dell’Orchestra Cherubini e dell’Italian Opera Academy, poi ritorna al lavoro. Pezzo dopo pezzo sta costruendo Le Nozze di Figaro di Mozart che dirigerà – in forma di concerto – il 31 luglio a Ravenna e il 3 agosto al teatro Galli di Rimini. Il 2 agosto lascia il podio ai cinque direttori che hanno partecipato alla masterclass, tre orientali, un austriaco e l’italo-tedesco Nicolò Umberto Foron, un prodigio di 21 anni. L’Academy è un progetto formativo sostenuto da privati, dalla Fondazione Gardini a Barilla, e costituisce uno dei più generosi lasciti di Muti: pezzi di vita spesa fra podi di valore e studio severo sono la sostanza di lezioni quotidiane, da mattina a sera, pensate per «insegnare ai giovani direttori che la nostra musica non è seconda a nessuna. Deve essere trattata con il rispetto che si dedica agli autori d’Oltralpe» ricorda quest’italiano di casa nel mondo, alla testa della Chicago Symphony dopo 20 anni alla Scala, dieci a Londra, 12 a Philadelphia e altrettanti a Firenze. Domina il mezzo secolo con i Wiener Philharmoniker. L’ultimo appuntamento italiano del 2019 sarà il concerto di Natale in Senato alla testa della Cherubini.
«D’ora in poi voglio vivere di sfumature e delicatezze» disse il Suo maestro allo scoccare dei 70 anni. Lei cosa si propone?
«A un certo punto della vita si ha solo bisogno di dolcezza, soprattutto in un mondo così tremendo, tragico, bellicoso dove tutti sono arrabbiati. Una dolcezza che forse si può trovare con gli amici e le persone giuste, immersi in un paesaggio meraviglioso e circondati da una cultura che riempie lo spirito. Durante la vita si combatte, si conquista, si cercano affermazione e gloria rendendosi poi conto che sono effimere. Ti accorgi che hai lavorato sempre di corsa. Così vuoi ritrovare te stesso, tornare alla prima giovinezza, a un cielo azzurro, senza nuvole».
Come si vede nei prossimi anni?
«Sento il bisogno di affondare i pensieri nelle mie radici di uomo del Sud, in quella Terra benedetta e maledetta allo stesso tempo. Il cerchio della vita si sta chiudendo, sono in una situazione in cui tutto scaturisce da questo stato d’animo, e così intendo compiere gli ultimi anni della mia vita».
A proposito di ritorni. Dominique Meyer, futuro sovrintendete della Scala, ha già espresso il desiderio di riaverla almeno per qualche appuntamento.
«Ho stima di Meyer, farà un ottimo lavoro. Il problema è che non conosco più l’orchestra della Scala, non so come suoni oggi. Tornando dovrei fare un certo tipo di lavoro per riportarla al mio concetto di suono, fraseggio, disciplina artistica e coesione. Ora non so più a che livello sia e non ho voglia di rimboccarmi le maniche. Le orchestre con cui lavoro sono poche».
Tra esse la Filarmonica di Vienna che ha voluto Lei per celebrare l’anniversario della morte di Karajan al Festival di Salisburgo.
«I Wiener mi vedono come una specie di padre musicale, depositario di un modo di concepire il suono, il fraseggio, il fare musica. Li dirigo da 49 anni senza mai saltare un anno, ho visto più di tre generazioni di Filarmonici».
Sabato, a Rimini incontrerà Sergio Mattarella. C’è qualcosa che Le preme dire al capo dello Stato?
«Vorrei che i proclami fatti da decenni venissero ascoltati. Nelle scuole deve essere ripristinato l’insegnamento della cultura musicale. L’Italia vanta la storia della musica più importante del mondo, abbiamo inventato l’opera, gli strumenti, il rigo musicale… Dobbiamo essere degni del nostro passato. Con poche eccezioni, i ministri della Cultura sono incolti, sprovveduti di tutto questo. Mi sento una voce che grida nel deserto, ma continuo a far battaglie: non per me, io ho avuto la fortuna di formarmi alla severa scuola italiana, lo dico per generazioni a venire. Io parlo come musicista, ma è un discorso generale: dobbiamo far sentire che siamo Italiani, e questo non ha niente a che fare con nazionalismi e sovranismi, è la consapevolezza di appartenere a un grande Paese. Poi da anni sto cercando di portare la salma del compositore Cherubini a Firenze, ora è necessario l’intervento di una grande autorità italiana».
Piera Anna Franini, il Giornale, 30 luglio 2019
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