– di Antonella Torra | 25 settembre 2025
Al Maestro il premio Cavour: “Serve tornare ai valori che lui aveva in mente”
«Sin della dai primi anni della mia infanzia, in guerra, poi nella ricostruzione, ho imparato che l’Italia non è solo un luogo geografico, ma unidentità intima».
Oggi il maestro Riccardo Muti riceve a Santena (Torino), il premio Cavour 2025: a consegnarglielo Marco Boglione, presidente della Fondazione Cavour.
Maestro, nella motivazione del premio si parla di valori cavouriani incarnati nella sua attività musicale, quale sente più suo?
«Questi valori ci venivano “iniettati” a scuola, in famiglia come il senso di patria. E Cavour stava lì, insieme a Mazzini, e Verdi: non solo politici o compositori, ma voci che hanno aiutato gli italiani a riconoscersi».
Oggi secondo lei l’Unità di Italia è a rischio?
«L’Italia ha una storia straordinaria, unica. Le sue radici affondano in un patrimonio culturale, umano e artistico che continua a definire chi siamo. Non parlo di stirpe, ma di popolo e di identità da non confondere con nazionalismo o chiusure. Quando sono a Chicago, nel freddo, esco dal teatro e vedo scolpiti Michelangelo, Raffaello, e altri grandi italiani all’Art Museum. Vedere quei nomi mi riscalda. La mia fortuna è nata qui e la bellezza che abbiamo creato è il fondamento su cui ancora oggi possiamo stare in piedi».
Verdi, Rossini, Donizetti: che responsabilità sente nel rappresentare questi compositori nel mondo?
«Ho creato da anni un’Accademia per giovani direttori d’orchestra, per trasmettere non solo la tecnica ma il valore culturale dell’opera italiana. Ogni volta che dirigo Verdi o Rossini, sento che porto con me una storia che non può essere banalizzata. Credo che la musica sia politica non nel senso partitico, ma come forma di partecipazione civile».
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Secondo lei è giusto che un artista si schieri?
«Certo, l’artista come persona ha il diritto di avere una visione politica ma non credo che il palco debba diventare il luogo per fare proclami. Il pubblico va al teatro per ascoltare un’opera, non per essere educato o indottrinato».
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La spaventa il linguaggio di odio che sembra diffondersi sempre di più?
«Sì, mi spaventa molto, soprattutto per i miei figli e i nipoti. Un tempo, la dialettica tra tesi e antitesi conduceva a una sintesi, oggi l’antitesi non è più un argomento di discussione, è solo un nemico. Non c’è più un tentativo di risolvere i conflitti per il bene comune, ma solo acrimonia e divisione, anche qui da noi. C’è bisogno di un ritorno ai valori che Cavour aveva in mente».
Lei ha detto che la musica è maestra di cittadinanza. Il nostro sistema educativo avvicina i ragazzi alla musica?
«Purtroppo, non si è fatto quasi nulla in questo senso. Ci sono timidi tentativi, ma la realtà è che il nostro patrimonio teatrale e musicale non viene valorizzato. Manca una politica culturale che sostenga i giovani. Tanti come me chiedono più cultura, più investimenti nelle orchestre, nelle scuole di musica. Un esempio che mi ha colpito è la Corea del Sud. A Seoul ci sono ben 22 orchestre sinfoniche dedicate alla musica occidentale, da Beethoven a Brahms. Un esempio di integrazione vera attraverso l’arte».
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L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e l’Italian Opera Academy sono due progetti a cui tiene molto. Come è cambiato il rapporto dei giovani con la musica colta?
«I giovani sono prontissimi. Abbiamo ragazzi straordinari, ricordo durante alcuni eventi, bambini piccoli seduti in prima fila accanto a persone anziane. Il terreno è fertile. E nostra responsabilità coltivarlo. Dice un bellissimo proverbio cinese, “A forza di pensare ai fiori, i fiori crescono”».
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Ha pensato a un ultimo concerto, a qualcosa che ancora le piacerebbe fare?
«Purtroppo – o per fortuna – c’è ancora tantissimo che vorrei fare. So già che morirò senza aver letto tutti i libri che vorrei. Quello che desidero davvero è vedere il nostro Paese riappropriarsi della propria cultura. Non in modo episodico, un’iniziativa qui, un festival là, ma in maniera strutturale. Vorrei che l’Italia tornasse ad essere un faro di cultura nel mondo, come è stata per secoli».
Antonella Torra, la Stampa, 25 settembre 2025
© foto di Dario Dinocca / Fondazione Camillo Cavour
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