First excerpt from the Press Release of the Italian Opera Academy focused on Verdi’s Macbeth.
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A lezione di verità con Verdi e Muti
Nel decalogo delle esperienze musicali imprescindibili, da provare almeno una volta nella vita, questa va iscritta a caratteri cubitali: seguire una lezione di Muti su Verdi. Almeno una, a Ravenna, nei silenzi del gioiello del Teatro Alighieri. Oppure volendo essere più esotici a Tokyo, dall’anno prossimo, dal momento che la vincente Italian Opera Academy, al quarto anno di vita, già viene richiesta per i prossimi tre dagli attenti giapponesi, che non se ne sono lasciati sfuggire l’enorme potenziale di novità. Perché qui si vive non solo un trasmigrare di esperienze – tecniche, artistiche, umane – consegnate dal Maestro a giovani scelti, di alto curriculum. Ma si viene letteralmente immersi nella fucina creativa del compositore. Sui leggii dell’orchestra Cherubini,
che fa da elastica palestra alle quattro bacchette, questa volta c’è Macbeth, l’opera verdiana che Muti ha più diretto (l’ultima a Firenze, poche settimane fa, per festeggiare con i complessi del Maggio i cinquant’anni dal debutto) e che anziché diventare routine, come capita con la ripetizione, sempre più diventa terreno di radicale esplorazione: dove esaltare le rotture delle convenzioni linguistiche, in favore dell’invenzione teatrale. Non è facile prendere il passo di un viaggio tanto imprevedibile, per i quattro direttori selezionati ad alternarsi sul podio. Pak Lok Alvin Ho, di Hong Kong, è il più giovane, ventiquattrenne, sottile e malleabile; John Lidfors, trentadue, il più anziano, è anche il più creativo, costruito; Wilbur Lin, passaporto americano e occhi a mandorla, e Aleksandr Poliykov, ucraino che insegna a Boston, entrambi classe 1988, possiedono robusta tecnica sinfonica. Vederli, sentirli, a rotazione, magari alla prova sul medesimo brano del Macbeth, diventa un percorso affascinante. Con Muti alle spalle o talora anche a due mani sulla bacchetta. Per sciogliere la tecnica, mentre si apre l’abisso dell’interpretazione. Si può insegnare l’opera. Si può studiare all’infinito Verdi. Si può cambiare, come cambiano a vista i quattro allievi esemplari. «Non imitate», li esorta Muti, riportandoli di continuo dall’effetto del gesto alla sostanza della partitura. Del «cosa c’è scritto»: con un gusto per la verità che dice tutto l’amore per Verdi, il rivoluzionario, il radicale. Inventore di un teatro visionario, che scopriamo qui, in questa meravigliosa bolla magica, di studio appassionato, tecnica ferrea e umorismo senza fine.
Carla Moreni, Il Sole 24 Ore, 29 luglio 2018
A Ravenne, Riccardo Muti aux sources de Verdi
Marie-Aude Roux, Le Monde, 27 Luglio 2018
A lezione di opera e di italianità da Riccardo Muti
Nella quarta edizione dell’«Academy» otto giovani promesse alle prese con Verdi
A lezione da Riccardo Muti. Lezioni d’opera italiana, direzione d’orchestra. E fra le righe, d’Italianità: un patrimonio che noi stessi – per primi spesso bistrattiamo. Muti, invece, si spende per valorizzarlo, forse perché questo Paese lo guarda e lo ama da lontano (da Chicago, dove dirige la Symphony Orchestra) oltre che da vicino (appena può, torna a Ravenna). «Anche se ci sono alcune persone non serie, l’Italia è un Paese serio. C’è gente seria», declama Muti rivolgendosi agli studenti, musicisti, ma anche appassionati che affollano il teatro di Ravenna. Colpo d’occhio a platea e palchi: ovunque taccuini, partiture di Macbeth, matite pronte ad annotare l’idea, il suggerimento. Ha preso il via la quarta edizione dell’Italian Opera Academy. Fra candidature piovute a centinaia, come ci ricorda il direttore dell’Academy Domenico Muti, sono stati selezionati quattro direttori d’orchestra e altrettanti pianisti collaboratori per i quali il Maestro ha messo a disposizione un cast di cantanti e l’Orchestra Cherubini. In due settimane, si costruisce l’opera Macbeth di Giuseppe Verdi, giorno dopo giorno, da mattina a sera, con concerto finalefl agosto diretto da Muti e il 3 dagli allievi dell`Acade- my. Chi sono? Aleksandr Poliykov, 30 anni, di Kiev, ma ora a Boston. Pak Lok Alvin Ho, ha 25 anni, è di Hong Kong ma per il lavoro di lima si è trasferito a Bloomington (Indiana), lì segue i corsi di Arthur Fagen; «è di scuola europea» tiene a precisare quest`orientale con un piano di guerra ben chiaro. Dopo l’Academy, tenta la fortuna al concorso della London Symphony, quindi della Bamberg Symphony e il Malko in Danimarca. Più pacato John Lidfors (32 anni), americano cresciuto in Germania dove sta sfruttando ogni opportunità che questo Paese offre ai suoi talenti. Wilbur Lin (1988) vive fra Taiwan e Stati Uniti. Volitivo e pragmatico, ha risolto alla radice il problema di un giovane direttore cui manca la materia prima per lavorare: l’orchestra. L’ha creata lui, mettendo assieme i migliori studenti. Prima considerazione. Nel quartetto dei direttori non c’è un italiano. Dove è finito il Paese che fu la Silicon Valley delle bacchette: create, incubate, accelerate, esportate? Oggi, cosa sta accadendo nei Conservatori? Cosa, come e soprattutto: chi insegna? Altra riflessione: tre dei quattro allievi sono finiti negli Usa, lì ci sono scuole ma anche opportunità lavorative. Terza considerazione. I fuoriclasse possono imprimere un’inversione di tendenza pur in un sistema malato, in declino, sull’orlo della bancarotta. Vedi Marchionne per l’automobilismo, vedi Muti per l’arte: attira cervelli in Italia, così come attraverso il progetto dell’Orchestra Cherubini sta creando un vivaio di professori d’orchestra. Infine, dal 2019 esporta il format Academy anche a Tokio. L’Accademia è uno dei più generosi lasciti di Muti che, incurante di copyright, dispensa consigli, mette a disposizione pezzi di vita spesa fra podi di valore e studio severo. «Le sue non sono opinioni, è Sapere, è rispetto dell’arte», ricorda Poliykov. Alvin Ho apprezza il fatto che Muti «faccia emergere l’anima del compositore, il senso del teatro, non comunica la sua visione personale». Sulla stessa lunghezza d’onda Wilbur Lin: «Ci insegna a servire la musica, e non a sovrapporvisi». «Ama la musica, anche per questo riesce a ispirare i musicisti. Per me è una grande lezione» (Lidfors). C’è nervosismo, ansia da prestazione fra i ragazzi. Condividono passione, carattere, e la consapevolezza che il momento è speciale. Muti vive la docenza come una seconda pelle. Ne è intrigato, esige, chiede, spiega, e in fondo si diverte. «Devi guardare l`intera orchestra, non solo le prime file. Bisogna far sentire tutti importanti», dice agli allievi che non spingono lo sguardo fino a percussioni e ottoni.
«In orchestra è importante quello che senti e cosa vedi: non deve esserci chi suona à la carte o addirittura non suona, imparerai che ti può capitare». «Sei il boss in questo momento» spiega al giovanotto timido nel tenere le redini della situazione. Guai alle punte di pollice ed indice che nella sinistra si congiungono facendo il tondino: è la mano dell’espressione, aprila. Blocca il piede sinistro che batte il tempo, distrae. Vai al dunque. Parti dalla sostanza quando parli ai musicisti», spiega al ragazzo che si rivolge agli orchestrali in modo tanto delicato quanto inefficace. Guai a fare di Verdi il musicista dello zum-pa-pà: «Tutto è sempre espressivo, legato», anche perché «la linea che separa il comico dal drammatico, in Verdi è esilissima. Bisogna fare attenzione». E al cantante che spiega che è tradizione sostare sulla tal nota sebbene Verdi scriva esattamente il contrario, Muti risponde citando Furtwängler: «La tradizione è il cattivo ricordo dell’ultima cattiva esecuzione», ovvero la tradizione è sacra ma se non finisce per essere un tradimento dello spirito originale del compositore, cosa che spesso capita. L’obiettivo di Silvia Lelli, fotografa storica del Maestro, fruga tra i leggii, coglie attimi e momenti emancipandoli dal tempo: sapranno emozionarci per sempre.
Piera Anna Franini, Il Giornale, 24 luglio 2018
Riccardo Muti und Verdis Schicksalskreise
Das Ravenna Festival geht nach sieben Wochen so langsam seinem Ende entgegen, doch die Aktivitäten im schmucken Teatro Alighieri reißen nicht ab. Jetzt wurde es completamente zu einem Riccardo-Muti-Schrein umfunktioniert. Banner an der Außenfassade und der altarähnlich Muti-Multi-Medien-Salotto künden davon: zum vierten Mal hat nun die Riccardo Muti Italian Opera Academy unter der Geschäftsführung seines Sohnes Domenico begonnen. Bis zum 3. August, täglich und in ständiger Anwesenheit des spiritus rector, wird mit vier jungen Dirigenten und vier jungen Regisseuren an Verdis “Macbeth“ gearbeitet. Dazu kommen das Orchestra Giovanile Luigi Cherubini und ein Jugendchor; aus Mutis professioneller Aufführung sind von letzter Woche Vittoria Yeo und Riccardo Zanellato dageblieben, der Rumäne Serban Vasile gibt mit gerundetem Bariton den Macbeth, der forsche Sizilianer Giuseppe Distefano (!) singt den Macduff. Und am Ende gibt es zwei Konzerte, wo das Erarbeitete vorgestellt werden soll.
Da kommt einiges auf die Beteiligten zu, das macht schon der Auftakt deutlich, eine zweieinhalbstündige, pausenlose One-Man-Show an der Rampe und am Klavier, in welchen Riccardo Muti so komisch wie ernsthaft, so spontan wie überlegt in die Interpretationsschwierigkeiten von Verdis zehnter Oper einführt. Da wird gespielt, philosophiert, gealbert, erklärt, doziert, gesungen und viel geredet. Muti erweist sich dabei als vollkommener Entertainer, der sein Publikum im Griff hat, inhaltlich trotzdem voranschreitet, seine Sänger veralbert, aber im nächsten Moment ganz konkrete Hilfestellung leistet. Das ist für den Opernliebhaber wie für den Profi gleichermaßen faszinierend. Sogar Mutis älteste Enkel hörte sich in Oma Christinas Loge einige Zeit den Opa an.
Ob er die Deutschen mit ihrer italienischen Hum-Pa-Pa-Verachtung geißelt, die Bedeutung der Banda erklärt, Verdi als Kulturmenschen wie Landmann zeichnet oder die musikalischen Kreisbewegungen erklärt, die stets bei ihm auftauchen, wenn vom Schicksal die Rede ist, er hat zu jedem Verdi-Thema Substanzielles aus seinem reichen Erfahrungsschatz zu sagen. Imitieren kann er auch, Publikum wie Mitwirkenden hängen an seinen Lippen.
Und hinterher geht es noch einmal zweieinhalb Stunden im privaten Kreis beim Dinner weiter. Da wird enthüllt, dass die Melodie der Marseillaise eigentlich von einem Italiener stammt, er mokiert sich über die Lieblingsbeschäftigung der Sänger (keine Details!) und ist komisch empört, dass die schmissige italienische Nationalhymne – echt wahr – morgens im RAI-Radio von den Berliner Philharmonikern gespielt wird! Gibt es denn gar keine italienischen Orchester mehr? In Ravenna wird jedenfalls dem Kulturverfall getrotzt.
Manuel Brug, WELT Blogs, 22 Luglio 2018