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Paestum palco ideale per la grande lirica
– Donatella Longobardi | July 7, 2020
«Non dovrei dirlo, ma forse in tutti i concerti che ho diretto in giro per il mondo, in nessun luogo mi sono sentito come a Paestum: questi templi immobili sono pieni di vita, intorno la campagna è un trionfo di verde e di fiori e poi, qui per me è come a casa, l’aria di Napoli è dietro l’angolo…».
Terminata l’avventura del concerto delle Vie dell’Amicizia che ha legato Ravenna col suo festival, la Siria e la cittadina della piana del Sele gemellata con Palmira, Riccardo Muti si lascia andare ai ricordi e alle riflessioni. È ancora viva nell’aria l’eco della terza sinfonia di Beethoven, con la sua Marcia funebre così ricca di significati in questo momento in cui la pandemia da coronavirus continua a mietere vittime in tutto il mondo. Mentre non si arrestano violenze nei confronti delle donne, povertà e guerre. Il maestro lo ricorda dal podio davanti al tempio di Nettuno dove, oltre all’Orchestra Cherubini unita a musicisti siriani, si sono esibite in un prologo di intensa emozione, due artiste curde: Anyur Dogan con i suoi canti di protesta e di dolore e Zehra Dogan autrice di una sorta di sudario in cui sei donne in fila reggono il corpo di un’altra, senza vita. Lei stessa, tra le colonne doriche, inventa una danza muovendo una bandiera bianca sulla quale, a fine serata, disegna un corpo femminile circondato da figure mitologiche. E ne fa dono a Cristina Muti che con il marito ideò le Vie dell’Amicizia, l’evento qui dedicato a due vittime dell’Isis, l’archeologo Khaled al-Asaad e l’attivista Hevrin Khalaf.
«E proprio in questi giorni aggiunge Muti – abbiamo saputo di un’altra artista, una giovane donna curda incarcerata per difendere la cultura. Non c’è martirio più grande».
In che senso, maestro?
«Noi artisti nelle grandi dispute politiche non abbiamo poteri decisionali, possiamo solo, come diceva una vecchia canzone, “mettere dei fiori nei cannoni”. Una goccia nell’oceano, ma tante gocce insieme…».
A proposito di artisti, è morto Morricone, come lo ricorda?
«Nutrivo per lui amicizia e ammirazione. Di lui ho diretto una importante composizione, Voci dal silenzio a Ravenna e Chicago, era un musicista straordinario non solo per le musiche da film, ma anche per le sue composizioni classiche. Ci mancherà».
Lei si è sempre battuto per il valore della cultura.
«Perché sono italiano, e sono del Sud, da parte di madre napoletano e di padre pugliese. La cultura è nel nostro dna, ci fa esseri umani. Finire in carcere per un disegno, per un verso di poesia, per una canzone, sono una forma di martirio sui quali noi occidentali dobbiamo riflettere».
You have always fought for culture.
“Because I’m Italian. And I’m from Southern Italy: my mother came from Naples, my father from Apulia. Culture is in our DNA. It makes us humans. Ending up in jail for a drawing, for a poetry verse, for a song is a form of torture we, Westerners, should reflect on.”
In questo senso i suoi Concerti dell’Amicizia in terre e momenti difficili, segnano la storia degli ultimi vent’anni da Sarajevo a Beirut, Teheran e Damasco. Continuerete?
«Certo. La musica è un ponte di fratellanza che parla a tutti, senza distinzione di razza, religione, fede politica. Un linguaggio diretto al cuore dell’uomo nella speranza che lo renda migliore».
In this sense your Concerts of Friendship in difficult countries and moments leave a trace in the history of the last twenty years from Sarajevo to Beirut, Tehran and Damascus. Will you continue?
“Sure. Music is a bridge of brotherhood speaking to everybody, without distinction of race, religion or political belief. A language that goes directly to the heart of men, in the hope that it can make them better.”
Diceva dell’emozione di esibirsi a Paestum, da quanto tempo ci mancava?
«Da almeno trent’anni. Ero in vacanza a Capri e con alcuni amici venimmo per una gita. Ci ero venuto la prima volta da ragazzo, Paestum con Pompei erano tappe ineludibili della nostra formazione».
Qui però lei ha trovato qualcosa in più, cosa?
«Forse proprio il senso della storia, come davanti alla Sfinge nella valle delle piramidi di Giza. Come davanti al Partenone. Devo ringraziare il direttore Gabriel Zuchtriegel che ha permesso di sistemare il palco davanti al tempio di Nettuno».
L’altra sera, durante la prova generale, la luna ha fatto capolino e lei ha interrotto la sinfonia di Beethoven per recitare Di Giacomo, Lunanova.
«È stata una decisione presa così, sull’onda di una emozione straordinaria che ho voluto condividere con i giovani dell’orchestra e con gli ospiti ammessi nel parterre, tra i quali c’erano molti studenti di conservatori della Campania. Ecco, quella luna era una luna campana, una luna che non si poteva vedere da nessun altra parte al mondo. Si sentiva palpitare la cultura dei coloni della Magna Grecia e di un Sud che per secoli è stato vittima di colonizzazioni e sfruttamento. Un Sud che però, a ognuno dei conquistatori, ha saputo dare il suo contributo, in bellezza e cultura. Noi italiani, noi del Sud, non sappiamo far tesoro delle nostre bellezze e del nostro patrimonio. Ne ho parlato a lungo con il presidente della regione, Vincenzo De Luca. Gli ho detto che Paestum deve essere anche in futuro, palcoscenico privilegiato per la musica, il teatro, la lirica. Spero davvero nasca qualcosa di più, sono pronto a dare una mano se necessario. Ci sono tutte le condizioni per attrarre turismo e cultura. Anche il museo è uno scrigno pieno di tesori davalorizzare, tutto con reperti trovati qui. Se ogni Paese decidesse di ritirare il suo, cosa resterebbe al British Museum?».
Donatella Longobardi, Il Mattino, July 7, 2020
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