Dante dà una celebre definizione della musica.
«Paradiso, canto 14: “E come giga e arpa, in tempra tesa/ di molte corde, fa dolce tintinno/ a tal da cui la nota non è intesa,/ così da’ lumi che lì m’apparinno/ s’accogliea per la croce una melode/ che mi rapiva, sanza intender l’inno».
Come gli strumenti vibrano e producono un suono dolce anche per chi non distingue le note, così dai lumi che appaiono a Dante si raccoglie in croce una melodia che lo rapisce, anche se non la intende.
«La musica non è comprensione; è rapimento. La musica è insondabile. Si va nel mistero. La musica non è un quadro, una statua, un libro. Non si vede, non si tocca. Non possiamo spiegarla e non possiamo comprenderla. La musica ci avvolge, ci stordisce, ci arricchisce. Penetra dentro di noi e ci rapisce. Non è importante conoscere. L’ignaro, il semplice, prova emozioni che magari il professionista o il critico musicale non prova. Sono nemico del “competente”. Spesso mette a disagio e intimidisce il non competente, che crede di trovarsi in una posizione di inferiorità perché “non capisce”. Non c’è nulla da capire, solo da ricevere. La musica non si ascolta con le orecchie, si ascolta con l’anima»

tratto dall’intervista a Riccardo Muti di Aldo Cazzullo
per il Corriere della Sera, 25 novembre 2025