Chicago Symphony review — at 82, Riccardo Muti has never been better
– Richard Morrison | 12 gennaio 2024
The orchestra is on tour with its venerable director and sounds superb — but why aren’t they coming to the UK, wonders Richard Morrison
L’orchestra, in tour con il suo venerabile direttore, ha un suono magnifico. “Ma perché non vengono nel Regno Unito?”, si chiede Richard Morrison.
Now 82 and with an astonishing 550 concerts with the Chicago Symphony Orchestra under his belt, Riccardo Muti can still galvanise musicians as few others ever will. Opening the CSO’s 14-concert European tour (which doesn’t include the UK for what’s diplomatically described as “logistical reasons”) at the Palais des Beaux-Arts in Brussels, the Italian conductor offered the European premiere of a new Philip Glass piece, a beautifully spacious interpretation of Mendelssohn’s Italian Symphony (gracefully rebuffing those who think being Italian means driving very fast and gesticulating wildly), and a performance of Prokofiev’s Fifth Symphony that grew more and more terrifying as it powered towards those percussion-driven last pages. Finally, in an encore paying homage to Puccini in his centenary year, he coaxed a wonderfully impassioned account of the intermezzo from Manon Lescaut, with sublime solos from principal cello and viola.
Ora 82enne e con ben 550 concerti con la Chicago Symphony Orchestra all’attivo, Riccardo Muti riesce ancora a galvanizzare i musicisti come pochi altri faranno mai. Aprendo il tour europeo di 14 concerti della CSO (che non include il Regno Unito per quelle che vengono diplomaticamente descritte come “ragioni logistiche”) al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles, il direttore d’orchestra ci ha regalato la prima europea di un nuovo pezzo di Philip Glass, un’interpretazione meravigliosamente spaziosa della Sinfonia Italiana di Mendelssohn (respingendo con grazia coloro che pensano che essere italiano significhi guidare molto velocemente e gesticolare selvaggiamente), e un’esecuzione della Quinta Sinfonia di Prokof’ev che diventava sempre più terrificante man mano che si dirigeva verso quelle ultime pagine guidate dalle percussioni. Infine, in un bis in omaggio a Puccini nel suo centenario, ha ottenuto una resa meravigliosamente appassionata dell’intermezzo di Manon Lescaut, con sublimi assoli del primo violoncello e della viola.
As always with Muti, the intensity was underpinned by a meticulous attention to detail, and especially blend. Just one tiny but telling example: I have never heard the quartet of horns and bassoons articulate their little fanfares in the Mendelssohn third movement with such clarity and perfect balance. Nor the violin lines shine so cleanly and lyrically in the first movement. Yet those same violins sounded properly raw in the ferocious thickets of Prokofiev. It suddenly seemed like a different orchestra.
Come sempre con Muti, l’intensità è stata sostenuta da una meticolosa attenzione ai dettagli e soprattutto all’insieme. Solo un piccolo ma significativo esempio: non ho mai sentito il quartetto di corni e fagotti articolare le loro piccole fanfare nel terzo movimento di Mendelssohn con tanta chiarezza e perfetto equilibrio. Né le linee del violino brillare in modo così pulito e lirico nel primo movimento. Eppure quegli stessi violini suonavano giustamente grezzi nei feroci boschetti di Prokof’ev. All’improvviso pareva un’altra orchestra.
And the new Glass? Well, mostly a rewind of the old Glass — except that the ten- minute piece, called The Triumph of the Octagon and inspired by the octagonal towers of a 13th-century Italian castle, did grow a little in interest and complexity after its soporific opening arpeggios. All credit to Muti for still premiering new stuff, but the only triumph here was in the title.
E il nuovo Glass? Beh, per lo più un riavvolgimento del vecchio Glass, tranne per il fatto che il pezzo di dieci minuti, intitolato The Triumph of the Octagon e ispirato alle torri ottagonali di un castello italiano del XIII secolo, è cresciuto un po’ in interesse e complessità dopo la sua apertura soporifera di arpeggi. Tutto il merito va a Muti per aver presentato in anteprima ancora cose nuove, ma l’unico trionfo qui è stato nel titolo.
After 13 years as the CSO’s music director he has now been appointed “music director emeritus for life” — a continuing association that buys the orchestra some time to find a worthy successor. I gather the estimable Jakub Hrusa (soon to be music director of the Royal Opera) is a leading contender, with the dread name of Christian Thielemann also whispered.
Dopo 13 anni come direttore musicale della CSO, è stato ora nominato “direttore musicale emerito a vita” – il continuo di un connubio che dà all’orchestra un po’ di tempo per trovare un degno successore. Mi risulta che lo stimabile Jakub Hrusa (che presto sarà direttore musicale della Royal Opera) sia uno dei principali contendenti, fra i quali si è sussurrato anche il terribile nome di Christian Thielemann.
Meanwhile, good news for Muti’s British fans. He is back in London in October to conduct the Verdi Requiem — the work that, more than any other, made his name half a century ago.
Intanto buone notizie per i tifosi inglesi di Muti: tornerà a Londra a ottobre per dirigere il Requiem di Verdi, l’opera con cui, più di ogni altra, Muti si fece un nome mezzo secolo fa.
Richard Morrison, The Times, 12 gennaio 2024
(Libera traduzione)
Foto: Todd Rosenberg Photography/Chicago Symphony Orchestra
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