Schubert magico in cuffia

– di Carla Moreni | 29 novembre 2020

Mettere le cuffie, provare per credere: il suono cambia, da così a così. Cioè diventa più compatto, prende profondità,  risponde nello spazio, dai pizzicati degli archi alla pastosità dei corni. Tecnicamente lavorato, ma senza snaturarsi, finalmente giustifica l’ascolto da remoto, dalla TV, dal computer, persino dal telefonino. Franz Schubert non poté mai sentirle, anche queste, tra le sue Sinfonie, Terza e Ottava. Le scrive a diciotto e a venticinque anni. Quando è il coetaneo esatto dei Cherubini, gli orchestrali che ora le eseguono, amorosamente plasmati dalla direzione di Riccardo Muti.
Un’ora di musica, filata, nel Teatro Alighieri di Ravenna vuoto. Ovviamente senza pubblico, niente poltrone in platea. Trasformato in una cassa di risonanza inedita e che sperimenta in più l’aggiunta – tanto per giocare sempre in avanti, come usa qui – della tecnologia d&b Soundscape e del software En-scene.
Sigle misteriose, peri non addetti ai lavori. Da far storcere il naso a chi preferirebbe parlare solo di Wanderer e di modulazioni all’infinito, tanto per stare a Schubert. Ma ogni tanto bisogna fidarsi: è in atto un nuovo modo di avvicinarsi all’ascolto. Lo stiamo vivendo e i teatri italiani ne sono i capofila, quasi ci trovassimo in un benefico rinascimento (e non nel tempo delle porte chiuse, come in molte parti del mondo). Si seminano punti di vista originali, perché no?, anche a partire dagli auricolari. Che speriamo non ci vizino troppo – come succedeva coi dischi – per quando poi ritorneremo in sala, nell’ascolto dal vivo.
Comunque sia chiaro, niente trucco niente imbroglio: le due Sinfonie schubertiane da Ravenna risultano straordinariamente belle perché già di base lo sono. Accurate in ogni dettaglio, nell’esecuzione dei giovani strumentisti. Sempre concentrati e tesi, tangibilmente, ad offrire il meglio delle singole qualità. Li conosciamo. Rappresentano un tessuto malleabile, dove gli inserti che a rotazione si danno il cambio nelle annate, tra i leggii, entrano in una trama solida, priva di cedimenti.
Il nuovo primo clarinetto, ad esempio, Fabrizio Fadda, che nella numero Tre ha da brillare, lo fa con classe inappuntabile. E su che bei fraseggi ci conduce: naturali, per temi fatti di niente, appunto di una semplicità difficile da restituire. Dalla spalla di Valentina Benfenati, musicale pure nella coda di cavallo, fino all’ultimo leggio, tutti rimangono visibilmente nella parte, anche quando non suonano. Seduti in punta di sedia. Non per vezzo, non per ordine, ma per attitudine espressiva. Per suonare in avanti, quasi porgendo domande. Più in levare che in battere.
Su un dialogo che parte dal centro, dal podio. Punto di origine della prospettiva, da lì a riverbero, a cerchio, a raggiera. E in dialogo costante. Riccardo Muti ha cresciuto la sua Cherubini in evoluzione, vedendo passare in sedici anni centinaia di ragazzi. Ora la consegna di un’eredità si fa tangibile. Si avverte man mano anche uno scoprimento del pensiero interiore del direttore. Personale, aldilà della perenne, inflessibile, minuziosa cura, a far sì che l’orchestra sia un organismo, uno strumento corale. Ed è proprio il carattere tanto diverso delle due Sinfonie a permetterlo: nella Terza l’andamento è spensierato, arioso, a passo leggero, in un continuo gioco di rimandi. Nell’Ottava si aprono il dramma, i presagi di fine, fatti di un procedere ossessivo, che rotola su se stesso. I due soli movimenti, che le danno perciò il titolo di Incompiuta, interpretati così, con tanta assolutezza, non ci fanno desiderare un seguito: sono porte battenti sull’abisso. Non si vada oltre. Difficile contare quante volte Muti avrà diretto queste partiture. Anche perché non risulta che ne segni le date (come faceva Abbado, nella pagina bianca prima dei pentagrammi). Ma colpisce quanto ne resti coinvolto. Anche ora, e le riprese delle telecamere ce lo dimostrano. Dal vivo, di spalle, non lo vedremmo, ma qui possiamo leggere davvero le indicazioni ai musicisti, parlate, sussurrate, come se il concerto fosse ancora anche una prova, una infinita prova. Dove qualcosa sempre si può aggiungere, sul corpo vivo della esecuzione. Succede in particolare nella Incompiuta, così eloquente in questo nostro tempo sospeso. Definita non solo nelle linee orizzontali, ma nel procedere verticale delle armonie, ora a tinte pastello, ora cupe, di inquietanti presentimenti.
Si può rivedere e riascoltare, il nuovo Schubert di Muti, andando facilmente sul sito di Ravenna Festival o addirittura, consigliano, scaricando la app (ravennafestival.live). Da stamattina, in diretta alle 11, c’è da seguire il nuovo impaginato, a completare il dittico. Questa volta con un programma di disegno italiano, tra il Notturno di Martucci, il Preludio sinfonico di Puccini e il Verdi di Sinfonia Nabucco, Ballabili Macbeth e Sinfonia Vespri siciliani. Cuffie certo, obbligatorie.

Carla Moreni, Il Sole 24 Ore, 29 novembre 2020


 

In centomila ai concerti in streaming del maestro Muti

«Centomila visualizzazioni ai concerti di Muti»

– di Annamaria Corrado | 01 dicembre 2020

Antonio de Rosa fa il bilancio degli eventi trasmessi in streaming dal Ravenna Festival: «Sono stati visti in più di cento paesi»

Sono numeri importanti quelli registrati al termine dei due concerti di Riccardo Muti sul podio dell’Orchestra giovanile Cherubini trasmessi in streaming dal teatro Alighieri. L’ultimo, domenica mattina, dedicato a un repertorio tutto italiano, con Martucci, Puccini e Verdi. A fare un primo bilancio è Antonio de Rosa, sovrintendente di Ravenna Festival.

De Rosa, in quanti si sono collegati?

«Il primo concerto, dedicato a Schubert, ha sfiorato le 41.000 visualizzazioni nella prima settimana. Nel complesso, al momento, tra diretta e on demand, hanno visto i concerti circa 79.000 persone. Non credo di allontanarmi molto dal vero se dico che alla fine arriveremo alle 100.000 visualizzazioni».

Sono numeri importanti. Significa che questa modalità a distanza, nata per necessità in un momento di emergenza sanitaria, potrebbe avere rilevanza anche in futuro?

«Lo streaming apre una possibilità nuova e consente di allargare enormemente la fruibilità agli spettacoli. I concerti sono stati visti in tutto il mondo. Nessuno vuole negare l’unicità dello spettacolo dal vivo, del pubblico presente in sala che interagisce con gli artisti. Lo streaming non può sostituire il rapporto con il pubblico che rimane insostituibile, né la magia dello spettacolo dal vivo. In questo momento è una necessità per gli artisti e un dovere per noi, in futuro sarà un’occasione in più».

In quanti Paesi sono stati visti I concerti?

«Oltre 100. Gli spettatori provengono per un 70% dall’Italia, seguiti da Giappone, Russia e Spagna, e poi Germania, Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera e Austria. La resa tecnica era ottima, in cuffia la profondità dell’ascolto era la stessa che se si fosse stati in teatro. Dallo streaming non si torna indietro, è una grande occasione. Anche dal punto di vista della promozione della città».

In che modo si promuove la città?

«Ogni concerto è stato preceduto da una breve cartolina della città, una passeggiata tra le sue bellezze, dalla Tomba di Dante a Sant’Apollinare Nuovo, per concludere al teatro Alighieri dove si entra per assistere virtualmente al concerto. E come se dicessimo a tutti “Appena sarà possibile, venite a Ravenna”. Il futuro del teatro Alighieri è legato alla sua completa digitalizzazione, perché lo streaming dovrà essere l’ordinaria metodologia con cui si valorizzano certi eventi. Nel 1967 Mario Salvagiani aprì l’Alighieri, nel 2020, facendo tesoro del suo lascito, e grazie al maestro Muti lo riapriamo a un pubblico planetario».

 Tra poco sarà il primo anniversario della morte di Mario Salvagiani.

«Il 13 dicembre Riccardo Muti dirigerà un concerto dedicato a lui e lo stesso giorno, in teatro, verrà scoperta una targa in sua memoria».

Sarebbe bello si potesse fare con il pubblico presente. È troppo azzardato sperarlo?

«È difficile fare previsioni, ora dobbiamo continuare ancora per un po’ a stringere i denti per cercare di arginare ulteriormente il contagio. Spero si possano riaprire i teatri il prima possibile».

In attesa delle riaperture però l’attività all’interno dell’Alighieri non si ferma: nelle ultime settimane ha ospitato le prove dei due concerti poi trasmessi in streaming.

«Tutto secondo le regole, compresi i tamponi periodici a cui si sottopongono gli artisti, il personale del teatro e lo staff di Ravenna Festival. Il costo? Si avvicina agli 80/90mila euro»

Annamaria Corrado, Il Resto del Carlino, 01 dicembre 2020


 

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