Ascoltare l’umanità di Gesù
– di Aldo Cazzullo | 2 ottobre 2020
«Molti direttori d’orchestra non conoscono il latino, non l’hanno studiato – parlo dei direttori d’orchestra che eseguono il Requiem di Verdi: la prima parola che il coro pronuncia è “Requiem”. I direttori leggono l’indicazione dinamica scritta in partitura: “pianissimo”, “sottovoce”, e si soffermano sulla parola “Requiem”. Ma la frase intera è “Requiem aeternam dona eis Domine”. “Requiem” è accusativo ed è retto dal verbo “dona” che è il motore della frase, quindi deve essere sì eseguito pianissimo, ma esprimendo un senso di disperata richiesta. Non è una frase passiva, espressione di una situazione di quiete. Talvolta viene eseguito senza vita, soffermandosi solo sulla prima parola, mentre invece occorre porre l’attenzione sul verbo. Pensiamo a un errore analogo nella Traviata di Verdi, quando il tenore intona la celebre aria Dei miei bollenti spiriti, dimenticando di accentuare il seguito…».
Ecco cosa succede a mettere insieme due teste come Riccardo Muti, il più importante direttore d’orchestra al mondo, e Massimo Cacciari, filosofo dal multiforme ingegno. Ne esce un libriccino intitolato Le sette parole di Cristo (133 pagine, che il Mulino sta per pubblicare) la cui lettura è un puro piacere intellettuale, che spazia tra musica, teologia, fede, pittura.
L’incipit viene appunto da un dipinto, che Muti e Cacciari ammirano insieme a Capodimonte: la Crocifissione di Masaccio, una delle opere che aprono la grande stagione rinascimentale. Il Cristo morente ha appena pronunciato la settima delle sue ultime frasi, affidando l’anima al Padre. Agli autori tornano in mente Le sette ultime parole del nostro Redentore in croce, le sette sonate composte da Haydn probabilmente nel 1786 per la cerimonia del Venerdì Santo celebrata nella cattedrale di Cadice, che Muti diresse – e Cacciari ascoltò – al Festival di Ravenna. Sono quindi Masaccio e Haydn a ispirare il dialogo, che finisce per dare suono, voce, musica al dipinto e per dare forma, prospettiva e colore alla partitura.
Il filosofo ancora ricorda le parole con cui il direttore d’orchestra invitò il pubblico ravennate all’ascolto: «Vi ritroverete ciascuno con la propria vita, i propri dolori, le proprie paure, le proprie speranze, tutti uniti in Cristo; l’umanità di Cristo è l’umanità di voi che ascoltate».
«Pater, dimitte illis quia nesciunt quid faciunt»; Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. La parola-chiave, fa notare Muti, è la prima, «pater», evocata dai violini, con un tono contemplativo e malinconico in cui Cacciari coglie, oltre alla richiesta di perdono, il disincanto sulla natura di «quelli», di noi esseri umani.
«Hodie mecum eris in paradiso», in verità ti dico: oggi sarai con me in paradiso. L’oggi, fa notare Cacciari, è l’oggi perfetto: un «Hodie» eterno, che indica quello che sta per accadere nel giro di poche ore e nello stesso tempo dà la misura dell’eternità. «E infatti – risponde Muti – le note sono: “do-mi-re-si-do”, Haydn parte dal do e torna al do, e poi “sol-do-si-la-sol”, si parte dal sol e torna al sol – quindi si formano come due cerchi», appunto il simbolo dell’infinito: «Idea consapevole oppure mistero del genio?».
«Mulier, ecce filius tuus»; Donna, ecco tuo figlio. Qui la parola-chiave è «ecce». La sonata ha inizio con due corni. Una scelta ardita, che gli autori leggono alla luce del grido muto del Cristo di Masaccio e del pianto non solo della Madonna e di San Giovanni ma anche e soprattutto della Maddalena, che nell’Opera di Capodimonte rappresenta idealmente l’umanità.
«Deus meus, Deus meus, ut quid derelequisti me?»; Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Per restituire la frase più drammatica, la musica deve esprimere un senso di trascinamento; il suono a un tratto si ferma, «come fossero singhiozzi».
«Sitio», ho sete. Quasi un impulso per sopravvivere; dopo aver pensato ai carnefici, al buon ladrone, alla madre, a Dio, Gesù si rende conto che sta morendo, e la sua natura umana lotta per resistere. «Qui comincia il tema sostenuto da una serie di pizzicati – annota Muti -, che sono come delle gocce d’acqua, gocce d’acqua e di sangue»; che a Cacciari ricordano le «lacrime di sangue» del Rigoletto.
«Consummatum est»; tutto è compiuto. Una frase che gli autori leggono in parallelo a quella «tempo più non v’è» – con cui il commendatore trascina via il don Giovanni di Mozart.
«In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum»; Padre, nelle tue mani affido il mio Spirito. E qui gli autori si inoltrano in una discussione (che coinvolgerà gli evangelisti, i Wiener Philharmoniker, il Duomo di Milano, una sinfonia di Bruckner, e poi Cherubini, Brahms, Beethoven, la decapitazione di Luigi XVI, il carnevale di Molfetta…); ma rivelarla è contraria allo spirito delle recensioni; che non devono raccontare i libri, semmai indurre a leggerli (almeno i non molti che vale la pena di leggere; tra i quali c’è sicuramente questo).
Aldo Cazzullo, Il Corriere della Sera, 2 ottobre 2020
GUARDA LA PRESENTAZIONE VIDEO DEL LIBRO
SCOPRI LA RICCARDOMUTIMUSIC DIGITAL STREAMING PLATFORM
e scopri tutte le informazioni sulle novità in anteprima,
i contenuti esclusivi e live streaming.