Riccardo Muti: niente bollettini. Studio Beethoven e vesto sportivo

– di Valerio Cappelli | 14 aprile 2020

“Voglio avere certezza di ciò che si fa, non di ciò che si farà. Non voglio sentir parlare del futuro. È pieno di persone che non sanno come risolvere la giornata e dare da mangiare ai propri figli. Nella mia lunga vita, una cosa del genere non solo non l’ho mai sperimentata ma nemmeno immaginata. Viviamo un film di fantascienza”, dice Riccardo Muti.

Che cosa vede dalla sua casa di Ravenna?

“Persiane abbassate, come se il virus potesse entrare dalle finestre. C’è un silenzio quasi di morte, cimiteriale. Io Pasqua l’ho sempre passata a Molfetta, dove da ragazzino vedevo le processioni del venerdì Santo, molto radicate al Sud (accompagnate dalla Banda, che furono le mie prime lezioni di musica): da secoli non si erano mai fermate, neanche in tempi di guerra”.

Abituato a girare il mondo, si sente come un leone in gabbia?

“Semmai un uomo in gabbia. Mi sento agli arresti domiciliari, come tutti. Con mia moglie Cristina, siamo ligi alle norme. Però un conto è decidere di stare a casa perché ti vuoi riposare, altro conto è una (giusta) imposizione”.

Presto sarà estate.

“Pensate a una famiglia che vive in 70-80 metri quadrati… Ma penso anche a milioni di persone che non riescono a comprare il necessario per vivere, ai miei ragazzi dell’Orchestra Cherubini. I teatri sono chiusi, la musica si è fermata e loro, il meglio prodotto dai Conservatori, non guadagnano un euro. Eppure hanno trovato il coraggio e la volontà di suonare e trasmettere messaggi musicali sul web dalle proprie abitazioni”.

Segue il bollettino quotidiano sul virus?

“Non più, ogni giorno ci dicono che i dati da una parte migliorano, dall’altra peggiorano. E non capisco un accidente, non sono Einstein ma nemmeno lo scemo del villaggio. Mi viene il dubbio che questa confusione aiuti qualcuno, non so chi sia. Troppi medici dicono cose contrastanti. In tv vedo documentari. Mancano, nei programmi Rai, grandi registi trascurati, Germi, Pietrangeli, Rossellini, Bergman. A Pasqua hanno trasmesso film su Gesù in tutte le salse, e Ben Hur che conosciamo a memoria”.

Cosa ci vorrebbe?

“Più fantasia e meno pigrizia, e poi quei continui appelli a lavarsi le mani, legittimi per carità, ma… la tv tratta gli italiani come sottosviluppati. Quando sono all’estero vedo solo notizie negative su di noi. Invece abbiamo gli scienziati, gli artisti. E i medici straordinari che abbiamo conosciuto in questo periodo…”.

La musica c’è in tv?

“Perché non si approfitta per trasmettere più musica, a parte Rai 5 che fa un lavoro egregio? Danno concerti in piazze vuote spacciando per grande musica qualcosa che non lo è affatto. In un periodo in cui siamo costretti in casa a guardare più tv, i risultati li hanno comunque e potrebbero fregarsene dell’audience. Invece ti propinano Alien, fa aumentare la depressione che esploderà se ci diranno che non potremo andare al mare”.

Si tiene in esercizio fisico?

“Potrei fare le scale ma preferisco quelle del pianoforte. Vesto sportivo, in pullover, niente tuta. Passo molte ore a studiare la Missa Solemnis di Beethoven, che inseguo da tutta la vita, con cui a settembre dovrei aprire la stagione a Chicago. È il trionfo del contrappunto (che condiziona con le sue regole e maglie), proteso all’espressione, in un’aderenza totale di testo e musica. Il risultato è un contrappunto trasfigurato, raggiunge una sfera metafisica che provoca sgomento”.

L’Inno alla gioia di Beethoven è diventato l’Inno della Ue. Abbiamo avuto aiuti sanitari da Albania, Cuba, Russia, qualcosa dagli Stati Uniti…

“Beethoven, che significa libertà, nella Nona Sinfonia dice che siamo tutti fratelli. Invece alcune nazioni europee pensano che l’Italia sia un dio minore. Mi sono indignato quando ci hanno dato dei lestofanti, dopo tutti i nostri aiuti dati all’Europa, che non avrebbe sviluppato la cultura che ha, senza di noi”.

È pessimista, ottimista?

“Uno scossone di questo genere porterà a un adattamento a una situazione diversa. Non sto a pensare troppo se ne usciremo migliori, e non penso al futuro ma all’oggi. C’è bisogno di soluzioni perché le persone indigenti possano vivere. Non sopporto i politici che pontificano, illudono; spero che non pensino alla musica come a qualcosa di cui si possa fare a meno. Monsignor Ravasi mi ha citato lo scritto di Cassiodoro, lo storico e letterato romano: se noi continuiamo a commettere ingiustizie, Dio ci toglierà la musica”.

Maestro, si parla di concerti con l’orchestra in platea e il pubblico nei palchi.

“No, sarebbero per pochi privilegiati, meglio in streaming. Altra cosa: le città erano imbrattate, le statue mutilate; non si può fare niente contro i vandali, dicevano. Gli elicotteri della polizia sulle nostre teste, per sorvegliare che stiamo a casa, come se fossimo un popolo di malfattori, dimostrano che quando si vuole le cose si fanno”.

Pensa che potrà dirigere il concerto di Capodanno a Vienna, con i suoi tanti significati beneauguranti?

“Sarebbe bello poter dire è tornato tutto come prima e brindare. Io sento che il vaccino lo troverà uno scienziato italiano. Spero che si torni a una vita normale. Ma, come dice Eduardo de Filippo, adda passà ‘a nuttata.

Valerio Cappelli, Il Corriere della Sera, 14 aprile 2020


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