Salone del Maggior Consiglio / Palazzo Ducale
Di fronte al Maestro il Rettore Università di Genova, Paolo Comanducci
Accanto al Rettore, Gian Marco Ugolini (direttore del Dipartimento di Scienze Politiche)
Muti laureato a Genova
Show con i giovani: «Il loro futuro sarà difficile»
– di Margherita Rubino | 06 ottobre 2019
Al direttore d’orchestra il riconoscimento honoris causa all’apertura dell’anno accademico «Dedico la Marcia funebre dell’Eroica di Beethoven ai due poliziotti uccisi a Trieste»
«A Genova sono legato, direi anzi che provo gratitudine per questa città. Quando, molto giovane, vinsi il concorso Cantelli, ebbi qui una delle mie prime scritture, al Politeama, era il 1967, e poi tutto iniziò». Riccardo Muti riparte velocemente in macchina, dopo avere regalato all’Università e alla città molto più di quel che ci si aspettava. Ha ringraziato per quella lontana scrittura e per la Laurea Honoris Causa in Scienze Internazionali della Cooperazione, appena conferitagli dall’Ateneo.
Non solo ha diretto l’orchestra dei giovani dei Conservatori Niccolò Paganini di Genova e Giacomo Puccini della Spezia, ma ha condotto anche una prova d’orchestra che è stata una divina lezione di esecuzione musicale, punteggiata di ironiche battute, esortazioni, rimproveri, break comici. Grandissimo.
È parsa impagabile l’ora di lectio magistralis offerta a un pubblico che ha voluto tributargli una doppia standing ovation, in apertura e in chiusura. «La mia sarà una lectio non proprio magistralis, è una parola che non mi piace. Anche se è meglio magis – dovrebbe significare “più”, ne deriva anche “maestro” – che “minus”, ne deriva “ministro”, ci siamo capiti?», dice. E, dopo aver ricordato che “Le vie dell’amicizia”, cioè il suo lavoro con le orchestre di luoghi difficili, da Beirut a Sarajevo, «ha dimostrato come la musica sappia unire più di ogni altra arte», il maestro ha preso in mano la bacchetta.
Cosa ha scelto, Muti, per rispondere alla laudatio? «Io dirigerò la Marcia funebre della Eroica di Beethoven, lavorerò un po’ con questi giovani qui, davanti a voi» dice alla platea «dedicando il secondo momento della Sinfonia n.3 ai due poliziotti uccisi ieri a Trieste». E parte una performance fitta di rimproveri che i giovani stanno lì a suggere come il miele. «Accordate». Eseguono. «Avete accordato male! L’oboe ha dato il La, ma tutti hanno iniziato con un La calmierato che è diventato subito un colpo di cannone. Se in Italia due o tre si passano il La, tutto funziona, se è un’orchestra, diventa subito chiasso e basta. Rifate!». Si volta a destra e ricorda ai giovani che la tradizione della marcia funebre è del Settecento italiano e che lui da ragazzo, tra Molfetta e Giovinazzo, seguiva tutte le bande per ascoltarla. «Le bande! Elemento portante della cultura musicale italiana, sono alla fame ormai». Si rivolge ai contrabbassi: «Sol, La, Si, Do! Non così! Devono andare in levare!». Suonano. Lui si volge a sinistra, ai violini. «Bisogna però attenuare la tensione del suono. Mi dica lei, con i baffetti, qui cosa c’è scritto?». Una violinista in prima fila suggerisce «sottovoce». Lui alza il tono: «Lo voglio sapere da lui, da lei l’ho sentito, so’ Muti, non so’ sordo!». Scoppia la prima di molte risate. «Bravi, ma va messa più intensità. Attenzione a questo Fa diesis. È importante, deve battere, battere, è una spina nel cuore».
Muti vive e fa vivere ogni nota, fra stoccate di ogni tipo «Suonate che pare una danza, ma così pare che il morto si svegli!». «State sbagliando! Però siete convinti. Come i politici, che convinti lo sono sempre. Sol, Fa, Mi, Fa, Re, si va verso il valzerino…». E qui l’orchestra decolla, e lui dirige, e finalmente pare vada come vuole lui, pur tra «Non correre! Morendo! Legato! Lungo! Espressivo! Siete morti! Oboe, sali al cielo! Ma cosa è questo? Il morto cretino? Ragazzi, so bene che siete giovani ma…un po’ di espressione!». Siamo alla fine: «Su, canta, e voi, non andate in gondola! Profondo, senza speranza, viaaaa! Bravissimi, siete stati bravissimi!».
È finito, i ragazzi non si schiodano, minuti di battimani. Lui fa i complimenti al docente di esercitazioni orchestrali, Antonio Tappero Merlo: «Ottimo lavoro. Purtroppo questi ragazzi hanno di fronte un futuro molto difficile, basta pensare che nella sola Seul, capitale della Corea del Sud, ci sono più orchestre che in tutta Italia». Ancora un saluto alla città: «Genova viene da Ianua, ricordo il motto dei templari: “Porta patet, cor magis”, è enorme il cuore di Genova».
Margherita Rubino, Il Secolo XIX, 06 ottobre 2019
© Marco Serretta Università di Genova
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