Riccardo Muti si ricorda bene la sua prima direzione della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, nella basilica di San Lorenzo a Firenze nel 1971, quando aveva trent’anni. Stava per dare l’attacco alla solennissima prima battuta di quel grandissimo affresco musicale quando il suo sguardo cadde su uno dei vicinissimi pulpiti del Donatello, con le figure illuminate in modo da mettergli soggezione. Riuscì comunque a procedere, il concerto ebbe successo, e da allora il maestro ha diretto molte volte il Requiem in tutto il mondo – anche, una volta, nella chiesa di San Marco a Milano, dove lo stesso Verdi ne aveva diretto la “prima” nel 1874, in occasione del primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni, alla cui memoria l’opera era dedicata.
Da lunedì scorso Muti sta provando e dirigendo il Requiem a Chicago, dove la sua luna di miele con la meravigliosa Chicago Symphony Orchestra, di cui è direttore musicale dal 2010, continua intatta. E questo si capisce non solo da ciò che dice lui ma anche da tutti gli orchestrali con i quali abbiamo avuto modo di parlare. C’è un’intesa, un rispetto reciproco tra strumentisti e direttore, che raramente si trova nel mondo orchestrale.
Muti è molto chiaro e deciso nei dettagli interpretativi che chiede ai suoi collaboratori, ma possiede la saggezza che appartiene solo ai direttori più agguerriti: capisce esattamente ciò che l’orchestra può dare, cerca di ottenere il massimo possibile, ma sa esattamente fin dove può arrivare. Quindi non succede ciò che si vede spesso quando, dopo diversi anni di vita musicale vissuta insieme, si creano degli screzi tra orchestra e direttore e avvengono situazioni in cui si comincia a sentire in giro la frase “non ne posso più”. A Chicago i rapporti sono tranquilli e al contempo entusiastici.
E i risultati di questa storia d’amore si sentono, letteralmente. L’interpretazione del Requiem emersa durante le prove di lunedì, martedì e mercoledì è drammaticissima ma non nel modo ruvido e spettacolare che spesso affligge quest’opera straordinaria. Certo, nel “Dies irae” quella magnifica orchestra scatena tutta la sua imponente violenza in modo impressionante: c’è, tra l’altro, una piccola percussionista che colpisce simultaneamente ben due gran casse con una forza quasi da far tremare l’Orchestra Hall o da causare uno tsunami nel vicinissimo lago Michigan. Ma ancora più impressionanti sono i brani come per esempio la “Lux aeterna”, in cui Muti mette in risalto il contrasto tra il radioso futuro prospettato per i salvati – uno splendore inneggiato dal mezzosoprano Daniela Barcellona, assecondata dai primi violini tremolanti nel loro registro acuto – e la cupa risposta del basso Dmitry Belosselsky accompagnato dagli accordi altrettanto scuri dei fagotti e ottoni bassi e dal tremolio dei timpani – che ci riporta al dolore della morte inesorabile e inevitabile.
Impeccabili anche i cori della Chicago Symphony (preparati da Duain Wolfe), che seguono Muti come se la loro vita, collettiva e individuale, ne dipendesse. Brave e luminose le due soliste Vittoria Yeo, soprano, e la Barcellona; meno entusiasmanti ma sempre all’altezza del compito il tenore Piotr Beczala e il Belosselsky. Nell’insieme, sarebbe difficile oggigiorno immaginare un’interpretazione di questo capolavoro più raffinata, più profonda o più commovente. Giovedì sera, al primo dei tre concerti che il Requiem occupa per intero, il pubblico è andato in visibilio. D’accordo: ciò succede spesso e ovunque, ma almeno questa volta possiamo affermare che gli applausi e gli urrà sono stati più che meritati. Beati i musicofili di Chicago: speriamo che si accorgano della loro grande fortuna!
Harvey Sachs, Il Sole 24 Ore, 11 Novembre 2018
Chicago Symphony Center
Verdi Requiem
Chicago Symphony Orchestra
Vittoria Yeo soprano
Daniela Barcellona mezzo-soprano
Piotr Beczala tenore
Dmitry Belosselskiy basso
Chicago Symphony Chorus
Duain Wolfe direttore del coro