Venerdì sera, con il direttore musicale Riccardo Muti sul podio, la Chicago Symphony Orchestra ha proposto l’ultima delle sinfonie titolate di Šostakovič: la Sinfonia N. 13 (“Babij Jar”), raramente eseguita. Per la CSO è stato il concerto di apertura della nuova stagione al Symphony Center, e tra il pubblico c’era aria di festa. Ma Muti ha incanalato questa eccitazione in un’attenzione estasiata, quasi di riverenza, con un’esecuzione feroce di un’opera drammatica vicina al suo cuore. Dopo l’esecuzione, la vedova Šostakovič, Irina Šostakovič (84), ha raggiunto Muti sul palco per un breve dibattito.
Composta nel 1962 per basso solista, coro maschile e orchestra, la Sinfonia n. 13 si sviluppa lungo una serie di cinque poesie del poeta contemporaneo russo Evgenij Evtušenko. La poesia di apertura, “Babij Jar”, fu ispirata dalla visita di Evtušenko a una fossa a Kiev (Ucraina) nel 1961: qui, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale furono fucilati più di 30.000 ebrei. I sovietici misero a tacere le voci sul massacro del 1941 e la poesia di Evtušenko, che descrive questo luogo denunciando l’antisemitismo russo fu pesantemente condannata. Anche Šostakovič fu criticato per averla messa in musica e, dopo una manciata di esecuzioni, la sinfonia fu praticamente bandita in Unione Sovietica. Avendo ricevuto un microfilm di contrabbando della partitura nel 1970, Muti ne diresse la prima esecuzione in occidente, a Roma. Šostakovič ricevette un nastro di quell’esecuzione, la elogiò e la conservò fino ai suoi ultimi giorni.
L’esibizione della CSO, con il basso Alexey Tikhomirov e gli uomini del Chicago Symphony Chorus, ha manifestato la continua devozione di Muti alla musica di Šostakovič, spesso sconvolgente. Specialmente per le prime tre poesie, Babij Jar, Umorismo e Nel negozio, Muti e i suoi musicisti trovano il perfetto equilibrio tra la minaccia opprimente, il grido di indignazione e la profonda malinconia che rende la musica di Šostakovič così intensamente umana. La voce di Tikhomirov non ha il tipico colore cupo e sepolcrale dei bassi russi, ma il suo timbro più leggero ha dato una connotazione colloquiale alle lunghe linee melodiche in lingua russa. Tikhomirov è stato narratore avvincente delle immagini di Evtušenko che evocano una gola spettrale, con donne sfinite in un’interminabile fila per il cibo e la bizzarra figura dell’umorismo.
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Nel commento che ha preceduto la sinfonia di Šostakovič, Muti l’ha definita “un documento profondo, che mette in guardia noi e le future generazioni. Ogni forma di dittatura – ha detto – dovrebbe essere bandita. È decisamente ora che troviamo la pace in questo tragico mondo”.
Dopo il concerto, Irina Šostakovič si è seduta sul palco con Muti. Lei e il direttore sono amici; dopo la morte di Šostakovič, la vedova ha fatto avere a Muti il nastro con la sua esecuzione del 1970 di “Babij Jar”, che suo marito aveva tanto apprezzato.
Parlando tramite un traduttore, ha risposto alle domande sull’equivoco ottimismo di Yevtushenko alla fine della poesia Timori, il quarto movimento della sinfonia. Šostakovič pensava davvero che la paura stesse morendo in Russia nel 1962? Parlando tramite il traduttore, lei ha risposto che la paura esiste in ogni paese, in ogni società. Magari la sinfonia, ha detto, può dare agli ascoltatori il “coraggio di combattere la paura”.
Parlando tramite un interprete, la donna ha risposto alle domande sul dubbio ottimismo di Evtušenko alla fine della poesia Timori, il quarto movimento della sinfonia. Šostakovič pensava davvero che nel 1962 la paura stesse morendo in Russia? Tramite l’interprete, ha risposto che la paura esiste in ogni paese, in ogni società. Magari la sinfonia – ha detto – può dare agli ascoltatori il “coraggio di combattere la paura”.
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Liberamente tradotto dall’articolo di
Wynne Delacoma, Chicago Sun-Times, 23 Settembre 2018
Chicago Symphony Center
Prokofiev Sinfonietta
Šostakovič Symphony No. 13 (Babj Yar)
Chicago Symphony Orchestra
Alexey Tikhomirov basso
Uomini del Chicago Symphony Chorus
Duain Wolfe direttore del coro
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