Trailer Italian Opera Academy
Come assistere alle prove di Riccardo Muti
su Le nozze di Figaro di Mozart a Ravenna,
Teatro Alighieri, dal 20 Luglio al 2 Agosto:
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Verdi in tempesta a Tokyo
– di Carla Moreni | 7 aprile 2019
II Rigoletto di Muti a Tokyo è già leggenda: segna l’inizio di una nuova stagione, dicono gli studenti giapponesi. Perché è un Verdi mai insegnato così. Visionario nella partitura, restituito sulla parola, rivelato nell’essenza di capolavoro sperimentale. Lontano mille miglia, anzi irriconoscibile, rispetto alla tradizionale veste di opera popolare, da arene, urlacci e acuti. Vogliamo coniare un nuovo ideogramma per sintetizzarlo? Come il Reiwa della nuova era del principe Naruhito, lanciato giusto in questi giorni? Sorridono portandosi la mano alle labbra, come sempre si usa nel gentile Oriente, gli allievi del corso tenuto da Riccardo Muti, per una settimana, nell’aula-auditorium, perfetta, dell’Università delle Arti di Tokyo. Culminato giovedì sera nell’esecuzione dell’opera, nella sala dello storico Bunka Kaikan. In forma di concerto, sul podio il Maestro, di fronte i cantanti italo-russo-giapponesi, Francesco Landolfi, Venera Protasova, Giordano Lucà, Antonio Di Matteo, Daniela Pini, torchiati e ribaltati per giorni. Intorno un’orchestra di ragazzi, la Tokyo-Harusai, che ascoltata a occhi chiusi ha lo stesso affondo d’archi dei Berliner, timbro dei legni rubato ai Wiener. Il progetto è importato da Ravenna, sull’esatto modello della “Italian Opera Academy” (per il prossimo luglio, quinta stagione, Le nozze di Figaro). Anche qui a motore del master c’è un Festival, lo “Spring Festival”, col suo Presidente mecenate, Koichi Suzuki, della Internet Initiative Japan. Per la quindicesima stagione, sotto i ciliegi in fiore di Ueno, ha aperto il vol.1 – proprio così, come un testo importante – dei corsi di Muti. Fissando già i due prossimi, primavere 2020 e 2021, con Macbeth e Ballo in maschera. Come a Ravenna, il centro del corso è la direzione d’orchestra. Il focus, letteralmente, è il podio. Attenzione, scuola Muti: non ginnastica, musica. Cioè analisi, mani sul pianoforte, capacità di cantare mentre si dirige. Poi certo, con la consegna di un infinito tesoro di segreti tecnici, distillati man mano, sulla necessità di un attacco, di un colore, sul carattere di un ritmo, di un fraseggio legato, staccato, o una via di mezzo. Come un tempo si insegnava – parole del Maestro – nei normali corsi di conservatorio. E naturalmente come si praticava nei teatri. Era la scuola italiana, raccontata qui da Harvey Sachs in due conferenze su Toscanini. Con quel preciso carattere teatrale, fatto di intreccio parola-nota, frase contro frase. Caratteristico di uno stile. Radicato in tre secoli fondativi di opera in musica. Per partecipare al Rigoletto rinato in Tokyo sono arrivate 129 domande. Per l’anno prossimo, sono già il doppio. In quattro sono usciti dalla scrematura, per lavorare concretamente davanti all’orchestra e coi cantanti. Sempre con Muti a un passo, spesso braccio su braccio, la partitura enorme rossa sul leggio. Trentenni, poco più, poco meno, tre uomini e una donna, tre occhi sottili e uno tondo: Seungwon Lee, Johannes Lohner, Nodoka Okisawa, ChiyaAmos. Corea, Germania/USA, Giappone, Singapore. Già ampiamente in carriera e con una certa immediatezza dí apprendimento. Ciascuno, soprattutto, con uno specifico gesto, una personalità direttoriale. Eppure le lezioni di Muti, da mane a sera, stavano di continuo a dimostrare quanto proprio quella scuola di puro bel gesto, avulsa dalla drammaturgia della scrittura verdiana, risultasse totalmente inerte, a fare teatro. A raccontare il vero, profondo, umano Rigoletto. Tanto scavato, nei profili dei tre protagonisti, il gobbo, la figlia, il duca, da affiorare talora vicino a una seduta di psicoanalisi. Sconvolgente per la finezza delle continue intuizioni affettive: come la follia di Rigoletto, ad esempio (sì, il famoso, «È follia!») riportata a pensiero, tutto interiore, come senso di colpa, fantasma che poi diventerà realtà crudele. Ossessione che per sua natura va cantata sottovoce, cercata dentro, sulla parola. Oppure come la risata del duca, nascosta nei legni, in risposta a Bella figlia dell’amore: che non sono solo tre note staccate, ma davvero un gesto, in dialogo stretto. Dove parola e strumenti si cercano, si parlano, in un fantastico ininterrotto teatro da camera. Che fatto così, vive da solo. Senza bisogno di altro. Anche perché siamo in un’aula di Università. Nel silenzio magico, nell’attenzione concentrata di un centinaio di allievi (molti insegnanti tra loro) che chiosano fittamente partiture e spartiti. Tutti hanno il testo davanti. Tutti l’auricolare con la traduzione simultanea. E in questo clima di insuperabile concentrazione emotiva si crea la miracolosa situazione che chiamiamo cenacolo. Un cerchio magico, nel quale anche Muti (annuisce Andrea Rost, Gilda alla Scala, 25 anni fa) va oltre i cardini della propria tradizione. Reinventando un Rigoletto che sa di Shakespeare e di Beethoven, primaverile e cinereo insieme, con la più bella tempesta mai sentita in Verdi.
Carla Moreni, Il Sole 24 Ore, 7 Aprile 2019
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