Foto tratta dall’Autobiografia di Riccardo Muti Prima la Musica, poi le Parole, Rizzoli, Milano 2010

Dicembre 2017 – Intervista di Riccardo Muti con Dennis Polkow, giornalista di Chicago.

Riccardo Muti si prepara a dirigere il Concerto di Capodanno di Vienna che sarà seguito da più di 90 Paesi in tutto il mondo. In questa registrazione racconta il dietro le quinte, il contesto culturale e considera la nostalgia malinconica rappresentata dal valzer viennese. L’intervista include dettagli sul nuovo asteroide Riccardomuti e uno sguardo al passato e al futuro dei tour e del repertorio con la Chicago Symphony Orchestra.

Ascolta:

Muti mira a suscitare “sorrisi e lacrime” al Concerto di Capodanno di Vienna

Il concerto sarà trasmesso in Italia il primo gennaio 2018 alle ore 13:40 su RAI 2 e alle ore 21:15 in replica su RAI 5.

È un pomeriggio di novembre di un caldo anomalo per la stagione, verso la fine della residenza autunnale a Chicago di Riccardo Muti, ma il Direttore Musicale sta già guardando settimane avanti a sé, al giorno di Capodanno: “Appena arrivo a casa, devo subito trascorrere una giornata intera a definire la partitura” – dice Muti – “Dove voglio i ritornelli, dove no, per due ore di musica. Ci sono tantissimi dettagli di un Concerto di Capodanno a Vienna che il pubblico non conosce.”

Muti certamente sì. Ha diretto quattro concerti di Capodanno con  i Wiener Philharmoniker, il primo nel 1993. “La nostra è una lunga collaborazione,” – dice – “quarantasette anni insieme: più di qualsiasi altra orchestra con cui abbia lavorato”. Questo rapporto assiduo cominciò nel 1971 al Festival di Salisburgo, su invito di Herbert von Karajan, allora Direttore Artistico del Festival.

In quegli anni, il primo violino Willi Boskovsky diresse i concerti annuali di Capodanno dei Wiener dal 1955 al 1979. Lorin Maazel subentrò come General Manager e Direttore Principale della Staatsoper di Vienna dal 1980 al 1986 ed emerse così un nuovo sistema per cui annualmente erano coinvolti celebri direttori, a cominciare da Karajan nel 1987.

“La prima volta che mi chiesero di fare il Concerto di Capodanno,” – ricorda Muti – “ho detto di no per diverse settimane e rifiutavo pensando che questo concerto dovesse essere diretto da maestri che avessero la musica della famiglia Strauss, Lanner, o Suppé nel sangue. Ho chiesto ‘Perché sul podio del Musikverein il primo di gennaio dovrebbe starci un Napoletano? Io sono di Napoli, non di Vienna.’

Mi hanno ricordato che Napoli e Vienna culturalmente furono molto connesse, che la Scuola Napoletana e quella Viennese furono entrambe importanti capitali del mondo della musica. Hanno anche sollevato il fatto che la Regina di Napoli fosse Maria Carolina, figlia di Maria Teresa. Insomma, hanno trovato ogni tipo di correlazione.

Il presidente dei Wiener mi disse: ‘Hai appena inciso tutte le sinfonie di Schubert con noi e dal modo che hai di dirigere Schubert, caratteristico compositore Viennese, quella è la strada diretta, la porta che conduce a Johan Strauss. Noi musicisti Wiener Philharmoniker sentiamo che tu sei la persona giusta per fare questo tipo di musica.’”

Il primo Concerto di Capodanno diretto da Muti fu un tale successo che gliene fu offerto un secondo nel 1997 e di nuovo nel 2000, l’anno del nuovo millennio, “un grande onore”, riconosce Muti. “Tutti volevano fare quel concerto. Era un evento molto speciale, non solo per via del nuovo millennio, ma anche perché la Cina era connessa direttamente per la prima volta, quindi improvvisamente il numero di spettatori divenne più di un miliardo su tutta la Terra.

‘Dopo il 2000’, dissi, ‘Ho chiuso’. Perché tutti gli altri concerti parevano meno importanti. Poi, però, ho accettato nel 2004 perché volevano che dirigessi io, ma dopo mi sono fermato. La gente forse non si rende conto che il Concerto di Capodanno è molto faticoso, molto pesante e stancante per la preparazione che richiede: bisogna studiare moltissimo. Nonostante ciò che può pensare la gente mentre ascolta le belle melodie di Strauss, non è musica facile da dirigere correttamente. Così, dopo il 2004, ho detto ‘Basta, fine. Mai più.’ E infatti non ne ho mai più diretti. Ma questa volta sono tornati ancora a chiedere: ‘Per favore, Maestro, lo faccia un’altra volta, è passato tanto tempo.’ E quindi alla fine l’anno scorso ho accettato di fare questo concerto.

Quando si ha un’agenda piena come la mia di opere, concerti, incisioni, esecuzioni con orchestre importanti come quella di Chicago, non hai molto tempo libero per studiare. Devi imparare nuove partiture di musica contemporanea, musica moderna, musica antica che per te è nuova, quindi il tempo che impieghi a studiare un programma lungo, perché parliamo di due ore di musica, necessita di molta energia e sacrificio. Ogni volta che hai una o due ore libere, anche se sei stato impegnato tutto il giorno, devi trovare il tempo di studiare per essere preparato quando arriva la fine di dicembre. Poi devi andare a Vienna, arrivi il 27 e hai le prove il 28 e il 29.

Il 30 dicembre c’è il primo concerto, che è una sorta di prova generale, successivamente, il 31 c’è un concerto la sera, con la TV, quindi praticamente filmano l’intero programma esattamente come il primo di gennaio. Il concerto finisce alle dieci di sera, dopodiché ti rimangono due ore prima della fine dell’anno. Magari hai anche voglia di festeggiare un po’: non puoi bere troppo, giusto un bicchiere di champagne, magari di buona qualità, poi te ne vai a letto dopo mezzanotte, all’una. E il giorno dopo alle 8 del mattino devi essere pronto e pieno di energia fisica e mentale, perché alle 11 in punto comincia il concerto.”

In due occasioni il programma del concerto strizzerà l’occhio all’eredità culturale italiana di Muti: il galoppo del Guglielmo Tell di Johan Strauss e la quadriglia di Un ballo in maschera di Johan Strauss figlio, che Muti descrive come “parodie di Rossini e Verdi, ma composte con grande rispetto”, insieme ai valzer che sono ormai segno distintivo associato a questi concerti.

“So dirigere un valzer, ma non lo so ballare”, ammette Muti. “Una volta, molti anni fa, mia moglie tentò di convincermi a farlo, ma le pestavo continuamente i piedi e quindi con un suo “Basta così.” ci siamo fermati. Eppure condurre un valzer mi è del tutto naturale, se parliamo della sola musica. Il valzer è sempre in tre: un, due, tre; un, due, tre. Ma lo scherzo è che il valzer viennese è: un, due, forse tre; un, due, forse tre! C’è una sorta di esitazione o di rubato che non è facile. Si può provare a imitarlo, ma poi diventa una caricatura di quanto invece per il viennese è così… naturale. Sono certo di non avere il minimo sangue viennese, ma d’altro canto, come dicevano i viennesi: ‘Cos’è un viennese? Un viennese è una combinazione di italiano, austriaco, tedesco, ceco, ungherese, di quello che un tempo era detto uno iugoslavo. È la combinazione. Un melting-pot: un crogiolo culturale dell’Europa centrale’.

Ciò che è importante quando fai il valzer viennese è che devi sentire che c’è una combinazione di vita e di morte. Non dobbiamo dimenticare che questa musica ha una nostalgia, una malinconia, che provengono dal periodo in cui l’impero si avviava al termine. Questo si percepisce non solo nella musica di Bruckner, ma anche in quella di Mahler e, prima di lui, in quella della famiglia Strauss: si sente che qualcosa sta per scomparire. Si tratta quindi di una combinazione di vita e morte, di sorrisi e lacrime insieme. È questa la parte più difficile di questo tipo di valzer. Non sono pieni di gioia. Forse questo è uno dei motivi per cui il primo di gennaio questa musica entra nelle case di ogni Paese del mondo e calza perfettamente con l’atmosfera del Capodanno: perché c’è una speranza nel futuro che viene, ma anche una nostalgia per il passato che se ne è andato.”

Dennis Polkow, CSO Sounds & Stories, Dicembre 2017