Mancava da 37 anni: al Festival è andato in scena lo spettacolo lirico dell’anno. Quasi 15 minuti di applausi. Un allestimento che ha tolto ogni decoratività e gigantismo superficiale.
Il ritorno dopo 37 anni
Aida a Salisburgo è lo spettacolo lirico dell’anno. Quasi quindici minuti di applausi, sarebbero stati di più se Riccardo Muti non avesse fatto cenno con la mano che bastava così. L’allestimento è della videoartista iraniana Shirin Neshat, al suo debutto assoluto, così come lo è stato per il Radames di Francesco Meli, per l’Amonasro di Luca Salsi e per la protagonista Anna Netrebko, la divina del nostro tempo. Un allestimento minimalista che ha tolto ogni decoratività e gigantismo superficiale, un titolo che alla rassegna musicale più importante del mondo mancava da 37 anni (Karajan). Però c’è un filo di amarezza. «È stato notato da tutti — dice Muti — che la cancelliera tedesca Angela Merkel, amante d’opera, è venuta in Austria per sentire un’opera italiana, diretta da un italiano e con molti cantanti italiani nel cast. Ma non c’era nessun rappresentante fra i politici del nostro Paese». Dopo la prima, cena di gala per centinaia di persone che hanno sborsato centinaia di euro. La presidente Helga Rabl-Stadler e il nuovo «intendant» Markus Hinterhäuser hanno detto che è un’Aida nuova, Muti ha replicato che non è così: «È l’Aida così come l’ha scritta Verdi». Poi è andato all’incontro per i 175 anni dei Wiener Philharmoniker, che rappresentano il baricentro del festival.
Il direttore Riccardo Muti
La vera ragione di Aida oggi sembra essere una sorta di attrazione turistica, soprattutto nelle grandi arene, dove ci sono masse che si muovono, animali e balletti esagerati. Un’Aida da esportazione dove la solitudine della protagonista è accompagnata dall’ondeggiare di palme e chincaglierie che non hanno senso. Ma quest’opera non è un musical. Ha un’estrema delicatezza e finezza strumentale, perché basata sul rapporto tra pochi personaggi, con un’idea di solitudine estrema. Il momento del trionfo è dovuto all’occasione celebrativa per cui si compose, l’apertura del canale di Suez. Ma è un’opera di grande intimità.
La regista Shirin Neshat
All’inizio ero disorientata, il mio rapporto con l’opera era minimo, da giovane ascoltavo musica persiana e araba. Così quando Hinterhäuser mi ha chiesto di fare la regia di Aida ho pensato che fosse pazzo. Lentamente ho acquisito un gusto per questa musica. La mia prima reazione emotiva è stata per il coro. Poi mi sono innamorata delle arie dei tre protagonisti. Come regista d’opera si tratta di interpretare una storia scritta da altri, come artista iraniana si cresce con il concetto autoritario dei confini. Ironicamente ho capito che questi limiti possono darti libertà. Ho esplorato una nuova forma d’arte immergendomi in Aida come un esperimento per un’artista visuale.
L’ Aida Anna Netrebko
Aida è una donna piena di amore e passione, tormentata nel dover scegliere tra l’uomo che ama, il condottiero dell’esercito nemico, e la sua gente. Ho sempre detto che amo i caratteri forti, le superwomen. Sul piano musicale, la parte di Aida è straordinaria e la considero una sfida. L’umanità alla fine prevale sulla forza brutale della politica e della tirannia religiosa. Spesso l’amore tra Aida e Radames non è sufficientemente chiaro: perché lui la ama quando ha accanto a sé una donna bella e potente come Amneris? Comunque sia, alla fine Radames e Aida decidono di morire insieme in pace con orgoglio e grazia. Aida vive attraverso ogni genere di emozioni, soprattutto nelle sue due grandi arie. Ho apprezzato i video: enfatizzano l’aspetto della storia dalla parte degli etiopi che nella tradizione sono visti solo come schiavi durante la marcia trionfale.
Nella foto: Riccardo Muti e Anna Netrebko
di Valerio Cappelli
Da CORRIERE DELLA SERA
www.corriere.it, 8 agosto 2017