Il Maestro sale stasera, dopo dodici anni, sul podio scaligero dirigendo la Chicago Symphony Orchestra. Un evento significativo: “Il sovrintendente Pereira sta cercando di pianificare un mio ritorno operistico e punta a La forza del destino. Io a La Wally”
MILANO – Questa sera Riccardo Muti torna sul podio della Scala 12 anni dopo il suo addio. L`evento è atteso nel mondo della musica come una epifania. Dirige la Chicago Symphony Orchestra nel quadro di una tournée europea. In programma Catalani, Strauss, Ciaikovski. Il Maestro appare rilassato e osserva le cose, incluso questo ritorno alla Scala, con olimpico distacco.
Maestro oggi torna a dirigere alla Scala dopo 12 anni: un teatro come un altro?
«Dopo 12 anni di assenza sono felice di ritornare a fare musica in un teatro che è stata la mia casa per quasi 20 anni e a cui mi legano ricordi stupendi».
Il programma è stato fatto su misura per Milano o pensando anche al resto del tour con la CSO?
«Sono gli stessi brani in tutte le tappe. Brani del grande repertorio sinfonico che la CSO suona in maniera straordinaria e ne evidenziano le sue eccezionali possibilità. Il solo pezzo pensato per la Scala è la Contemplazione di Catalani. Un grande musicista morto prematuramente a 39 anni, a cui il giovane Toscanini era legatissimo (pare che sia morto fra le sue braccia), tanto che ha chiamato la sua seconda figlia Wally dall’opera di Catalani, che Mahler diresse ad Amburgo e riteneva la più bella di quel periodo. Dato che è ‘anno toscaniniano (150 anni) ho pensato di aprire non coi fuochi artificio ma con un pezzo intimo, malinconico di Catalani come omaggio a Toscanini e alla Scala».
Alla Scala è arrivato come direttore musicale nel 1986: sono passati 30 anni e nel mondo della musica molte cose sono cambiate: cosa è cambiato per il Maestro e l`uomo Muti?
«Innanzitutto sono cambiato io, perché con gli anni cambiamo anche noi. Tante cose sono cambiate. Sono diventato nonno, nell`86 ero solo padre, ho dei bellissimi nipoti. Credo di essermi arricchito umanamente, perché invecchiare non significa solo peggiorare fisicamente ma anche un arricchimento. Ho fatto tante esperienze musicali nel mondo operistico e sinfonico con grandi solisti e grandi orchestre. Credo ci sia stato un arricchimento in termini di rapporti umani e artistici. Sono anche 47 consecutivi con i Wiener, l`orchestra che ha suggellato tutta la mia vita artistica dal 1971».
Per questo ha accettato di dirigere il prossimo Concerto di Capodanno nel 2018?
«Dopo il Concerto del 2000, speciale perché segnava il passaggio del millennio, avevo deciso di non farne più, ne avevo già fatti tre. Poi ci fu il 2004, ma i Wiener hanno insistito per il 2018. Sono felice, lo faccio volentieri ma avevo già deciso di smettere e ora col prossimo basta, cinque è un bel numero».
A proposito di ritorni, Aida a Salisburgo e poi voci su La Wally e Forza del destino. Che c`è di vero?
«Il sovrintendente Pereira, con cui ho un rapporto di amicizia, sta cercando di pianificare un mio ritorno operistico alla Scala e pensava a La forza del destino. Un titolo che ho già diretto con successo tre volte. Bisognerà trovare spazio perché a me richiede tanto tempo, settimane e settimane al pianoforte. L`opera nasce al pianoforte, questo è anche uno dei motivi dei miei scontri con i registi, io sono della scuola antica italiana. L`opera parte da prove lunghe al piano. Non ho avuto tempo di dedicarmi a Catalani negli anni milanesi ma non per disinteresse, è un mio amore nascosto. La Wally richiede un tenore e un soprano di grandissima potenza. Spero, sarebbe bellissimo per me poter trovare il tempo e il cast per poter fare La Wally. La Scala sarebbe il luogo ideale perché la prima fu qui il 20 gennaio 1892. Quindi noi apriamo con un omaggio a Catalani nel giorno della sua prima».
La Elbphilharmonie ad Amburgo è stata criticata per l`acustica, con lei e la CSO sembrava perfetta…
«Una grande orchestra ha possibilità sonore da riempire anche una sala che può avere dei problemi. Io dal punto acustico ho amato di più la nuova sala di Parigi. Amburgo è enorme, molto limpida ma forse le manca il calore di Parigi. Non è come la Philharmonie a Berlino, il Musikverein a Vienna o il Grosses Festspielhaus a Salisburgo, che hanno una acustica nettamente superiore. È una sala è di grandissime proporzioni, l`ho trovata impressionante ma non credo sarebbe la sala ideale per me. E lo dico non perché gli architetti che l`hanno fatta, Herzog e de Meuron, hanno massacrato la regia del mio Attila al Met (2010), tanto che fu considerata la migliore produzione musicalmente ma ultima per la regia: architetti importanti non sono per forza scenografi che capiscono di opera».
I suoi piani nell`immediato?
«Mi sto dedicando a due cose importanti: l`Accademia dei giovani a cui cerco di insegnare come si prepara un`opera in teatro. E i Concerti dell`Amicizia. Quest`anno andremo a Teheran (6 luglio). A dicembre ho diretto il concerto per gli 80 anni dell`Orchestra di Israele, quest`anno Teheran: la mia presenza sta a dire che la musica non ha frontiere ed è un mezzo di pace e di riconciliazione».
Il podio è stato conquistato oggi anche dalle donne, molte delle quali brave, che ne pensa?
«Non ci sono differenze. Non è che sia stato conquistato il podio, non credo che le donne fossero ostacolate, c’era meno interesse. Oggi c’è interesse, ben vengano le donne. L’importante è che tutti, uomini e donne, studino la musica e non intendano la direzione d’orchestra come elemento comodo».
Flaminia Bussotti, Il Messaggero, 20 gennaio 2017