Muti: “Io e i Wiener un legame speciale”

 

Il Maestro Muti si racconta dopo l’ennesimo trionfo in Giappone dove ha portato Le nozze di Figaro con l’Opera di Vienna “È una delle poche orchestre riconoscibili per la particolarità del suono e del colore”. Il 29 sarà con la Cherubini a Bergamo

 

L’INTERVISTA. TOKYO – Le opere sceniche sono diventate rare per Riccardo Muti, che da qualche tempo predilige l’esecuzione in forma di concerto. Tanto più prezioso quindi quando dirige un’opera scenica, come questi giorni in Giappone dove porta Le Nozze di Figaro di Mozart con l’Opera di Vienna. Alla prima il 10 nella Kenmin Hall a Yokohama, Muti, che gode qui di status semidivino come l’imperatore, è stato osannato. Boati e ovazioni con picchi di decibel superiori a queste latitudini. Entusiasmo anche per la messa in scena (quella storica di Jean-Pierre Ponnelle), l’eccellente cast (Ildebrando D’Arcangelo, Eleonora Buratto, Rosa Feola, Alessandro Luongo, Margarita Gritskova) e l’Orchestra della Staatsoper, che altro non sono che i Wiener Philharmoniker.

Il 29 novembre Muti sarà con la Cherubini a Bergamo (atteso anche il Presidente Sergio Mattarella) per i 50 anni della sua carriera, e il 20 dicembre dirigerà la Filarmonica di Israele, che esordì nel 1936, quando si chiamava Orchestra di Palestina, con Toscanini: “Ripeteremo esattamente lo stesso concerto”, sottolinea.

Nuovo trionfo in Giappone: quante volte ha diretto qui, e Le nozze di Figaro in particolare?

“Ho debuttato qui nel 1975 con la Filarmonica di Vienna. Poi sono ritornato con l’Orchestra di Filadelfia, la Chicago, i Wiener, la Scala, l’Opera di Roma e la Cherubini: questa è la 151ma volta. Dopo i primi concerti in Giappone si fondò il Club La Camerata Muti, il riferimento è alla Camerata dei Bardi cui si deve la nascita dell’Opera nel XVI secolo. La scelta del nome è indicativa del livello di cultura degli appassionati di musica giapponesi. La prima esecuzione di Nozze fu a Firenze con l’Orchestra del Maggio e la regia di Antoine Vite (1979). In seguito Herbert von Karajan, che mi aveva già invitato a Salisburgo nel ’71, mi chiamò a dirigere Così fan tutte. Nozze sono state l’avvio del mio cammino mozartiano. Nell’81 le diressi alla Scala con la regia di Strehler. In seguito Karajan mi chiamò a dirigere Don Giovanni, la Clemenza di Tito e poi il Flauto magico. Ho diretto Nozze a Vienna al Theater an der Wien e nel 2005 alla Staatsoper. Ora ho desiderato l’allestimento di Ponnelle (’77) che nonostante gli anni tiene bene e affascina, regia intelligente, che ricorda Strehler”.

Muti e i Wiener: cos’è che fa così speciale questo legame?

“Prima di tutto il fatto che sono 46 anni consecutivi che lavoriamo assieme. Ho visto tre generazioni: nel ’71 c’erano gli anziani che avevano suonato con Toscanini e Furtwängler. Dai Wiener ho imparato molto: il senso del fraseggio soprattutto nel loro repertorio, il timbro, il colore, la cultura mitteleuropea. Questo tipo di suono unito al mio concetto e alla mia cultura italiana, questa combinazione, è ciò che ho sempre inteso portare alle altre orchestre. I Wiener sono gelosi della loro tradizione e amano quei direttori in grado, in un modo che cambia, di riportarli al loro suono originario. Sono una delle poche orchestre riconoscibili per la particolarità del loro suono e colore”.

In Giappone torna nel 2019 con la CSO ma gli organizzatori sperano anche nel 2018, con l’Opera di Roma tanto che hanno già stampato i manifesti. Con Simone Boccanegra e Nabucco fu un grande successo che oscurò altre orchestre italiane, potrebbe bissare?

“Non sarà possibile perché il calendario è fitto di impegni, il mio prossimo tour in Giappone sarà nel 2019 con la CSO. Della tournée col Teatro di Roma conservo un bel ricordo, una bellissima esperienza che ha oscurato altri teatri, anche se parte del coro e dell’orchestra, per ragioni che mi sfuggono ma forse per malattia, non sono venuti e abbiamo dovuto sostituirli. Con la CSO farò tre programmi diversi, incluso il Requiem di Verdi (la cui incisione fu premiata con due Grammys)”.

Aida a Roma non l’ha fatta ma la farà a Salisburgo con la regia di Shirin Neshat: che aspettative ha?

“Il nuovo direttore artistico Markus Hinterhäuser, con cui ho rapporto di stima e amicizia, mi ha convinto a fare a Salisburgo un’opera in forma scenica dopo le mie diverse esperienze con alcuni registi, talvolta di assoluta sofferenza. Tanto è vero che avevo deciso di dirigere solo opere in forma di concerto. Non lavoro volentieri con registi che stravolgono il testo e l’opera. Verdi diceva bisogna servire più il poeta che il compositore ma spesso ti rendi conto che certi registi non capiscono neanche il testo. La Neshat è una donna di grande sensibilità e impegno sociale e potrebbe mettere l’accento sul problema femminile, razziale, il conflitto fra Aida e Amneris, etiopi ed egiziani, molto attuale e moderno. Al di là di certi dovuti trionfalismi – ma a Salisburgo non ci saranno elefanti! – Aida è un’opera intimistica non circense, è intrisa di relazioni sofferte fra vari personaggi. Strehler diceva giustamente che il trionfo è nella musica, l’opera non ha bisogno di fantasmagoria scenica”.

Il pubblico spera che diriga ancora opere: c’è speranza che torni a Vienna, Roma o in Germania?

“Un’opera scenica richiede la presenza del direttore dall’inizio delle prove, anche registiche, un periodo molto lungo. I Berliner volevano che facessi Otello a Baden-Baden ma ho dovuto rifiutare per mancanza di tempo: quindi la possibilità di opere in forma scenica in futuro è molto ridotta”.

Flaminia Bussotti, Il Messaggero pp. 25-26, 13 novembre 2016